A volte ci sentiamo fuori tono, intrappolati in una quotidianità di grigi e bianchi, vuota e senza senso. Quando ci chiedono cosa ci succede, diciamo di essere stanchi, solo questo e niente di più. Tuttavia, questa spossatezza senza forma né ragione nasconde la tristezza, “quell’amica negativa” che si insedia senza permesso nella mente e nel cuore per infettarci con l’apatia e la solitudine.
Ammettiamolo, ci siamo ritrovati tutti in una situazione del genere. Quando alla fatica si aggiunge quell’emozione appiccicosa, languida e profonda come la tristezza, tante volte ci viene spontaneo consultare “il Dottor Google” in cerca di una possibile diagnosi. In quel momento ci appaiono davanti termini come “depressione”, “anemia”, “ipotiroidismo”, etc.
“Buongiorno tristezza. Sei scritta nelle linee del soffitto, sei scritta dentro gli occhi che amo.
Tu non sei tutto quello che porta la miseria perché le labbra dei più poveri ti annunciano con un sorriso…”
A volte dimentichiamo che la tristezza non è un disturbo, che tristezza e depressione non sono sinonimi. Purché quest’emozione non si prolunghi nel tempo e non interferisca in modo continuativo con il nostro stile di vita, è un’opportunità, per quanto possa sembrare paradossale, per avanzare e crescere.
A volte passiamo periodi così in cui andiamo a dormire stanchi e ci svegliamo nello stesso modo. Possiamo andare dal medico, tuttavia, i risultati delle analisi ci diranno che non c’è nessun problema ormonale, nessuna anemia, né un’altra patologia di origine organica.
Molto probabilmente il medico ci spiegherà che a volte questa stanchezza è dovuta ai cambi di stagione, ad una lieve distimia tipica dell’autunno o della primavera. Un lieve effetto che potrà essere risolto con una cura farmacologica limitata nel tempo.
Eppure, ci sono alcuni stati emozionali che non hanno affatto bisogno dell’aiuto dei farmaci per essere risolti. Tuttavia, quando avvertiamo il loro impatto psicosomatico sul nostro corpo è logico spaventarci e, di conseguenza, commettiamo l’errore di curare tale sintomo senza concentrarci sul fulcro del problema: la tristezza.
I meccanismi cerebrali che reggono i nostri stati emotivi sono diversi tra loro. Mentre l’allegria o le effusioni innescano connessioni e iperattività nelle nostre cellule e nelle regioni cerebrali, la tristezza è molto più austera e preferisce economizzare i mezzi. Tuttavia, lo fa per un motivo ben preciso. Vediamolo nel dettaglio.
La tristezza genera nel nostro organismo una notevole riduzione dell’energia. Sentiamo il bisogno di evitare le relazioni interpersonali, ci fanno sentire a disagio, perfino il suono può darci fastidio, anche i rumori del nostro ambiente circostante ci disturbano e preferiamo l’angolo della solitudine.
È interessante sapere che la struttura che assume il controllo nel nostro cervello è l’amigdala, ma solo una parte di essa, in particolare, la parte destra.
Questa piccola area cerebrale causa questa sensazione di disagio, di pigrizia, di stanchezza fisica… Tale abbassamento di energia ha in sé un fine preciso: favorire l’introspezione.
La tristezza riduce anche la nostra capacità di prestare attenzione a tutti gli stimoli esterni che ci circondano. Questo succede perché il cervello cerca di segnalarci che è giunto il momento di fermarci e pensare, di riflettere su certi aspetti della nostra vita.
Non dobbiamo ignorare la tristezza occasionale, quella che ci accompagna per alcuni giorni e che ci fa essere stanchi, spossati e sconnessi con la nostra realtà. Curarne i sintomi, risolvere la nostra stanchezza assumendo delle vitamine o guarire il nostro mal di testa con gli analgesici non serve a niente se non arriviamo all’autentica radice del problema.
Source: lamenteemeravigliosa.it
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