Attenzione: questo articolo contiene spoiler su com’è la vita della studente fuorisede una volta tornato a casa. Lo so che siete partiti carichi di tutte le vostre cose preferite con l’idea di non tornare più, ma sappiate che può succedere di fare retromarcia e tornare a stare dai propri genitori.
Sei finalmente riuscito a uscire di casa – nonostante tutti gli sforzi economici e i sacrifici, hai fatto il grande passo; con più o meno difficoltà, a seconda dei casi, hai spiccato il volo e ti sei buttato nel mondo delle responsabilità e più vai avanti più ti sembra che questa indipendenza, una volta acquisita, nessuno te la potrà togliere. La strada è in discesa e se il presente magari non è del tutto sereno, il futuro ci appare comunque migliore (nei giorni buoni); non sarà sempre un seminterrato o un bucolocale senza finestre: pian piano arriveremo a vivere in una casa vera, con una metratura umana, al terzo piano, forse addirittura con il balcone! Questi i miei pensieri al mio primo trasloco. Ma poi succede; per quanto non l’avessi mai pensato neanche lontanamente, per svariati motivi – economici, del caso o della sfiga – ecco che ti ritrovi nella tua stanzetta, con i tuoi genitori come coinquilini. Sono tornata a vivere con i miei. Certe volte solo per qualche giorno, altre per periodi più lunghi, ma poco importa in realtà per quanto tempo ci si sta; il punto è che, una volta che si esce, non si dovrebbe più tornare, perché il cambiamento ormai è stato fatto. Come direbbe un vecchio saggio ormai abbiamo “scollinato” e tornare alla casa dell’adolescenza potrebbe sembrare un specie di passo indietro. In realtà, non è assolutamente così; oltre il fatto che ci sono motivi molti validi per farlo, che da soli bastano a sopportare tutti i disagi del tornare in famiglia, bisogna anche pensare che non è poi così male. Certo, il rapporto con i propri genitori è molto personale ed è difficile poter fare un discorso generale, ma per quel che mi riguarda, essendo molto legata alla mia famiglia, nei momenti di bisogno ho potuto apprezzare questi “ritorni dal futuro”, nella mia vecchia casa: crescendo e con il tempo che ci sfugge di mano, ci si parla meglio – discorsi che prima erano tabù si riescono ad affrontare – ci si danno consigli a vicenda, ci si ascolta di più e c’è una sorta di allegria diffusa, nello scoprirsi diversi e pur sempre uguali. Ma parliamoci chiaro, per quanto possa essere piacevole, ci sono certe cose ricorrenti che tutt’ora, quando mi capita di tornare dai miei, mi fanno davvero impazzire.
L’arrivo
Nella mia famiglia funziona così; nella prime quattro ore in cui siamo tutti e quattro insieme, c’è come un eccesso di sovreccitazione che fa succedere di tutto: gente che urla, risse per qualsiasi cosa – la frase tipo è “ora non cominciare” – e si crea in breve tempo un senso diffuso di disorientamento. Bene, ho imparato che questo è il nostro modo per dirci “Ciao, che bello stare di nuovo insieme! Siamo un po’ matti ma va bene così“. Qualunque sia il vostro…preparatevi, perché presto o tardi arriverà il punto di rottura in cui si ricade nelle vecchie abitudini, elevate al quadrato.
Le sparizioni
Succede che appoggi cose in luoghi e quelle cose poi non ci sono più. E tu sei sicura che la borsa fosse sulla sedia all’ingresso ma niente, non c’è più. Dopo mezzora d’orologio passata a ribaltare casa affronti inevitabilmente tua madre; scusa ma, hai visto PER CASO la mia borsa? Certo che l’ho vista e te l’ho messa a posto, è appesa (e quello, naturalmente, non è “il suo posto”). Ecco, le sparizioni a me fanno impazzire, perché perdi un sacco di tempo a ricostruire la logica di qualcun altro che improvvisamente ti gestisce il guardaroba, le chiavi di casa e nel mio caso, ha la fissa di appendere tutto – tranne le chiavi di casa, che mette in scatole sempre diverse. Altra procedimento simile, sono i cambi di posto; mia mamma ha un disagio (che non so se abbia un nome) tale per cui ogni tot. mesi deve cambiare la posizione delle cose. Così, a cicli continui, quando torni a casa le posate non sono mai allo stesso posto, lo zucchero neanche, gli accappatoi una volta sono appesi fuori dal bagno, una volta dentro e l’altra sono nell’armadio assieme a tutti gli altri asciugamani. E io, a 400 km di distanza lo dovrei sapere, naturalmente. Un balletto continuo che assicuro, può dare alla testa.
Il terzo grado
Il grande classico, un sempreverde del rapporto genitori e figli che perdura nonostante i capelli bianchi di tutti che aumentano esponenzialmente:
Ciao mamma esco.
Con chi vai?
Come con chi vado?
Sì con chi esci?
Ho trent’anni. Con le mie amiche mamma, dai ciao.
Eh si no chiedevo, su, stai calma, si fa per fare due chiacchere.
(Silenzio)
E a che ora torni? È solo aperitivo o ti fermi a cena?
Ciaaaaaaooooo
Guarda che non ti lascio niente in frigo eh, poi ti arrangi e non mi insulti perché è vuoto!!
La televisione
Altro grande campo di battaglia. Se prima era per tenerla accesa a tutti i costi o decidere quale programma vedere, ora incredibilmente i ruoli si sono invertiti. Succede spesso che mi metto in sala a scrivere ed ecco che madre accende la televisione. Mamma puoi spegnere? Niente, mi metto le cuffie perché tanto non si schioda e finisce per mettere dei programmi allucinanti. Al che mi tolgo le cuffie e comincio a parlare del senso di guardare certe trasmissioni; e qui le cose finiscono che o torno nel mio e la ignoro, o continuo a commentare e a discuterci fino a che non perdo tutto il pomeriggio. Family life.
Le raccomandazioni
Variante del punto tre.
Ok mamma vado.
Ecco bene, hai preso il cellulare?
Si.
Il caricabatterie, che poi mi telefoni urlando che lo devi ricomprare e…
Si.
Pigiama e spazzolino, presi?
Si, mamma.
I soldi ce li hai?
SIIIIIII
Oppure, specialmente con mia madre, c’è un tema a lei caro che è quello della pericolosità, intrinseca alle cose – per esempio, un bicchiere VICINO al bordo del tavolo. Non SUL bordo – sono distratta ma ho pur sempre 30 anni – ma VICINO. Eccola che subito parte con il monologo, preceduto da un sussulto, dal titolo “Ma non la vedi la pericolosità?” Seguito da un elenco di raccomandazioni su come bisogna disporre gli oggetti, sull’importanze di non lasciare in giro niente e non creare il disordine per non dover poi mettere a posto. Tutto molto giusto, tutto molto bello, ma l’ansia?
Le scelte di vita
La cosa bella di gestirsi da soli è che nel tempo ti crei le tue belle abitudini: usi un certo tipo di detersivo per i piatti, uno altrettanto specifico per il bucato, ti compri la carne quella buona, hai la tua scorta di semi di lino ovunque – e niente, quando torni a casa non è che non puoi continuare la tua routine di sempre, ma la devi discutere. La gente ti osserva e poi commenta, su tutto. E lì bisogna prepararsi e avere pazienza. Molta pazienza.
Come sopravvivere? Respirare e pensare solo che passerà. Anche se non si sa quando, ma passerà. E per quanto ci si possa tirare i piatti addosso, lo si è fatto per i passati vent’anni e si è già ampiamente sopravvissuti.
Source: freedamedia.it
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