A chiederselo sono stati alcuni esperti Ame, Associazione Medici Endocrinologi, che hanno appena pubblicato su Nutrients un documento di consenso per il corretto approccio nei confronti del trattamento del deficit da Vitamina D, compresi l’utilizzo degli integratori.
Quel che è certo è che la vitamina D viene introdotta solo in parte con la dieta, mentre la parte maggiore la si produce in seguito all’esposizione al sole e, spesso, anche da veri e propri preparati. Il medico, cioè, può scegliere un preparato di vitamina D e somministrarlo per evitare in un paziente carenza di vitamina D.
Ma sono tutti uguali ed efficaci? L’Associazione Medici Endocrinologi attraverso i suoi esperti ha insomma tentato di far chiarezza su questi argomenti pubblicando linee guida ad hoc.
Oltre al suo ruolo fondamentale nel metabolismo osseo (aiuta infatti l’organismo ad assorbire il calcio, uno dei principali costituenti del nostro scheletro, e a prevenire l’insorgenza di malattie ossee, come l’osteoporosi o il rachitismo), la vitamina D è coinvolta anche in altri processi, come la modulazione della crescita cellulare, le funzioni neuromuscolari e immunitarie e la riduzione delle infiammazioni. Di conseguenza, la carenza di vitamina D, oltre ai disturbi alle ossa, si può anche collegare una serie di altre patologie, come condizioni metaboliche, cardiovascolari, autoimmuni e tumori.
Quel che serve chiarire, dicono gli endocrinologi, sono alcuni punti riguardo i dati sulla efficacia della vitamina D:
L’eventuale carenza di Vitamina D viene valutata attraverso un dosaggio nel sangue, con qualche variazione secondo i diversi laboratori e soprattutto secondo i dettami delle differenti società mediche: carenza <10 ng/mL; insufficienza: 10 – 30 ng/mL; sufficienza: 30 – 100 ng/mL; tossicità: >100 ng/mL.
Si tratta di valori che prevedono quindi che i soggetti con un valore inferiore a 30 ng/dl possano essere dichiarati affetti da insufficienza di vitamina D. Un limite che, dicono gli esperti, andrebbe rivalutato perché troppo alto, soprattutto in assenza di forti evidenze scientifiche.
È per questo che nel documento si sono definiti ridotti i valori di vitamina D quando sono chiaramente al di sotto di 20 ng/dl.
“Sembra apparentemente una banalità tale differenza, ma una buona parte dei soggetti dichiarati “carenti di Vitamina D cadono proprio in questa forbice che va tra i 20 ed i 30 ng/dl. Al contrario soggetti osteoporotici o pazienti che assumono già farmaci per la cura dell’osteoporosi o altre categorie di soggetti significativamente più a rischio di carenza di vitamina D è corretto, a nostro giudizio, che abbiano valori di Vitamina D superiore al limite di 30 ng/dl e quindi vanno trattati”, spiega Roberto Cesareo, endocrinologo, Ospedale S.M. Goretti, Latina e primo firmatario del lavoro.
La prevenzione dell’ipovitaminosi D passa attraverso uno stile di vita corretto, un’adeguata esposizione alla luce del sole e una dieta bilanciata. Ricordatevi, però, che con la vecchiaia l’efficienza dei meccanismi biosintetici cutanei tende a ridursi e perciò è più difficile per gli anziani produrre adeguate quantità di vitamina D soltanto con la luce solare. Quindi, dicono gli endocrinologi, sarebbe utile integrare la vitamina D nei pazienti con osteomalacia o osteoporosi, ma anche negli anziani e nei soggetti che non possono esporsi in maniera adeguata al sole.
Ciò soprattutto riguardo agli integratori. Le molecole di vitamina D non sono tutte uguali. La forma inattiva, quella più comune, è il colecalciferolo, prescritta solitamente sotto forma di gocce o flaconcini da assumere o giornalmente o in assunzione mono-settimanale o a più lunga scadenza (mensile o anche bimensile) viene successivamente attivata in sede prima epatica e poi renale e, come tale, espleta i suoi effetti finalizzati in particolare ad un corretto assorbimento di calcio a livello intestinale e ad un controllo del metabolismo fosfo-calcico in sede ossea.
“Ma esistono altre molecole che sono già parzialmente o del tutto attive. Tra esse merita attenzione il calcifediolo che non necessita di essere attivato al livello del fegato e per le sue caratteristiche molecolari meno ‘liposolubile’, cioè permane meno nel tessuto adiposo rispetto alla precedente molecola menzionata, il colecalciferolo. Entrambe queste molecole non danno, se prescritte appropriatamente e a dosi corrette, problemi, in particolare alterazione dei livelli del calcio nel sangue e/o nelle urine. Il calcifediolo per la sua cinetica di azione e per la sua conformazione può trovare motivo di maggior utilizzo, per quanto detto, nei pazienti che hanno patologie epatiche di un certo rilievo e anche nei soggetti obesi e carenti di vitamina D o in coloro che sono affetti da problemi di malassorbimento in sede intestinale. Il colecalciferolo, di contro, trova la sua indicazione principe nei soggetti affetti da osteoporosi e/o che assumono contestualmente farmaci per la cura di tale patologia”, continua Cesareo.
“Infine – conclude l’esperto – i metaboliti del tutto attivi e che non necessitano dell’attivazione epatica o renale trovano un campo di utilizzo molto più limitato, in particolare nei soggetti affetti da insufficienza renale o carenti dell’ormone paratiroideo, quadro clinico che solitamente si riscontra nel soggetto operato di tiroide e di paratiroidi. Il loro ridotto utilizzo nel paziente con carenza di vitamina D è dettato dal fatto che, rispetto alle due molecole descritte in precedenza, queste espongono il paziente ad un maggior rischio di ipercalcemia e di aumentati livelli di calcio nelle urine”.
Gli endocrinologi ci vanno cauti. Nonostante molti dati associno la carenza di vitamina D ad altre malattie diverse dalla osteomalacia o dalla osteoporosi (come diabete mellito, alcuni tipi di sindromi neurologiche e di tumori), non è dato sapere quali siano i dosaggi corretti di vitamina D utili a ridurre l’incidenza di queste patologie correlate.
“Far passare il messaggio che la vitamina D sia l’elisir di lunga vita, oltre che scorretto in quanto privo di evidenze scientifiche forti, rischia di essere oggetto di iper-prescrizione incongrua e con il rischio di assumere tale molecola senza reali benefici”.
Sulla amata e controversa vitamina D, insomma, c’è ancora tanto da imparare e valutare. Quel che resta incontrovertibile è che si tratta comunque un toccasana e che, tra giusta alimentazione e regolare e corretta esposizione al sole, dobbiamo cercare di non farcela mai mancare. Leggete qui i nostri consigli su come fare incetta di vitamina D.
Source: greenme.it
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