Come accade con ogni serie che diventa cult nel giro di pochissimo tempo, anche nel caso di Stranger Things sono state dette tantissime cose. Accanto a chi l’ha elogiata dal minuto 2 del primo episodio c’è stato anche chi l’ha aspramente attaccata, definendola sostanzialmente un banale mashup di fantascienza e horror, in grado di attrarre più o meno tutti perché fa leva su un tasto facile da premere: la nostalgia.
A pochi giorni dall’uscita della seconda e attesa stagione, che in molti (me compresa) hanno finito di vedere nel giro di 24 ore, questa tendenza all’elogio – critica è stata confermata, segno ovviamente che il seguito è riuscito tanto quanto l’inizio. Per intenderci, Stranger Things 2 non ha subìto la stessa sorte di True Detective 2 (se c’è qualcuno che è riuscito a vederla fino in fondo vorrei stringergli la mano in questo momento): gli elementi che hanno reso indimenticabile la prima stagione sono stati rafforzati e sviluppati in sottotrame più definite e per certi versi avvincenti.
Quando si dice che Stranger Things è una serie nostalgica si fa riferimento a tutti quegli aspetti estetici, tematici e cinematografici che la legano indissolubilmente agli anni in cui è ambientata, cioè gli anni ’80. Stiamo quindi parlando della colonna sonora, degli outfit dei protagonisti, della fotografia e ovviamente di quel miscuglio tra horror, soprannaturale e fantascienza cui abbiamo accennato all’inizio. Tuttavia l’ipotesi secondo cui questi sarebbero gli elementi che hanno permesso alla serie di riuscire così bene non sta molto in piedi, perché non spiega come sia possibile che sia piaciuta anche chi odia gli anni ’80 e non digerisce particolarmente trame incentrate su strane Cose provenienti da mondi sconosciuti.
C’è qualcosa di meno tangibile e di più trasversale che negli anni ’80 è stato rappresentato come forse non era mai successo prima (e non è più successo dopo): l’amicizia. Non quel mix di amore e odio, quella complessa e alle volte morbosa relazione che di stabilisce tra adolescenti o adulti e che siamo abituati a vedere rappresentata oggi, ma quella genuina, solida e incondizionata che si stringe solo tra ragazzini.
In Stranger Things, così come nei grandi film degli anni ’80 che vengono costantemente citati nella serie (uno su tutti: E.T.), l’amicizia non è un tema tra gli altri, è IL tema. Gli amici non sono una spalla qualsiasi a cui appoggiarsi quando le cose vanno male, ma sono le radici di ogni personaggio, che non è mai singolo ma è composto da piccole parti di tutti gli altri. Potremmo pensare che questa possibilità sia data dalla giovane età dei protagonisti, per i quali relazioni sentimentali e problemi di lavoro ancora non esistono. Ma non è così: è un principio che vale anche per gli adolescenti e per gli adulti della serie: tra Joyce e Hopper, ad esempio, c’è sicuramente qualcosa di più di un’amicizia, ma quel qualcosa passa in secondo piano. Lo stesso vale per il rapporto triangolare che lega Jonathan, Nancy e Steve: prima ancora dei drammi emotivi e ormonali che caratterizzano le vite dei sedicenni, tra di loro viene la lealtà. O per l’amicizia tra Nancy e Barb, vissuta prevalentemente nella fedeltà che la prima presta alla seconda anche dopo la sua morte.
“Gli amici non mentono” è il vero filo che unisce ogni singolo episodio di entrambe le stagioni di Stranger Things, ma non ha a che vedere con la assoluta sincerità e assenza di bugie – sappiamo bene infatti che ogni tanto Mike, Dustin, Lucas e Will si raccontano delle bugie, come accade in qualsiasi grande amicizia. Riguarda invece la promessa di esserci sempre gli uni per gli altri, nonostante tutto, e con l’assenza di giudizio. Così come Eliot è in grado di accogliere senza mai realmente spaventarsi e senza pregiudizi, E.T, allo stesso modo Mike e gli altri accolgono e amano Undici, esaltando le sue diversità invece di farla sentire sbagliata o fuori luogo: “lei è nostra amica ed è matta da legare”. (SPOILER) E a sua volta lei stabilisce con loro un rapporto più forte di qualsiasi relazione di consanguineità. Alla nobile missione di salvare il mondo dai cattivi insieme alla sorella ritrovata – mettendo così al sicuro anche se stessa – Undi preferisce salvare i suoi amici, rischiando la vita: “loro non possono fare niente per me, ma io posso fare molto per loro”.
Succede anche a Max, la new entry pensata per sostituire temporaneamente nel gruppo l’assenza di Undici, che sembra non essere accettata, ma in realtà è una di loro fin dall’inizio. E perfino a Dustin e Dart, una creatura del Sottospra destinata a trasformarsi in un mostro mortale, di cui però Dustin si fida, nonostante tutti gli dicano il contrario.
Insomma, Stranger Things è un inno all’amicizia pura – solida, incontaminata da altre cavolate – a quell’affidarsi così completamente all’altro che ci rende vulnerabili. Un tipo di amicizia di cui ci dimentichiamo con il tempo e che forse diventa impossibile quando si cresce. Ma ognuno di noi ha avuto almeno un amico così, ognuno di noi ha nascosto quel ricordo da qualche parte. Ed è questo il vero potere nostalgico della serie, al di là di qualche canzone dei Joy Division: la sua capacità riportare a galla quel ricordo.
Source: freedamedia.it