PALERMO (ITALPRESS) – Una mostra in onore di Carlo Alberto Dalla Chiesa non per il 41esimo anniversario della sua uccisione, ma per chiudere il cerchio della celebrazione del 40esimo della morte del Generale, della moglie Emanuela Setti Carraro, dell’agente di scorta Domenico Russo, avvenuta per mano mafiosa la sera del 3 settembre 1982 a Palermo.
A promuovere la mostra “Carlo Alberto Dalla chiesa, l’Uomo, il Generale. 1982-2022”, organizzata dall’Arma dei Carabinieri e tenuta a battesimo a Palazzo dei Normanni, è la Fondazione Federico II; l’esposizione, la cui direzione artistica è curata da Andrea Pamparana, sarà fruibile fino al 10 novembre.
Alla presentazione hanno preso parte il presidente della Regione Renato Schifani, il presidente dell’Ars, Gaetano Galvagno, il sindaco di Palermo, Roberto Lagalla, il prefetto di Palermo, Maria Teresa Cucinotta, il Comandante Interregionale “Culqualber”, Generale di Corpo d’Armata Giovanni Truglio, il Generale di Divisione Rosario Castello, Comandante della Legione Carabinieri Sicilia, l’assessore regionale ai Beni culturali, Francesco Paolo Scarpinato, e l’assessore comunale alla Cultura Giampiero Cannella, ed il direttore generale della Fondazione Federico II, Patrizia Monterosso.
Prima di approdare a Palazzo dei Normanni, la mostra sul generale Dalla Chiesa aveva fatto tappa a Roma presso il Museo storico dell’Arma dei Carabinieri, al Palazzo Reale di Milano e a Palazzo Carignano a Torino.
“Abbiamo voluto appositamente che l’ultima tappa della mostra fosse Palermo e che ci fosse una continuità con il 40esimo anniversario della scomparsa”, spiega Monterosso.
La mostra, ricca di testi ma anche di materiale audiovisivo (filmati e video), segue la tabella di marcia della vita del generale: dalla partecipazione alla guerra in Montenegro a 21 anni alla prima esperienza in Sicilia per combattere il banditismo, continuando con la lotta tra Milano e Torino conto le brigate rosse e passando poi al ritorno a Palermo, fino al tragico epilogo.
“L’omicidio La Torre era stato il primo segno di una mafia violenta che aveva superato una mafia più antica e radicata sui traffici – sottolinea Schifani -, Dalla Chiesa venne ucciso perchè si era reso conto del cambio di passo delle organizzazioni criminali, ha chiesto poteri speciali in un contesto legislativo che aveva un gran bisogno di riforme. La mafia lo ha colpito perchè sapeva che era pericoloso, ma al contempo che non aveva le giuste coperture istituzionali”.
Tra le peculiarità del generale, aggiunge il presidente della Regione, c’era la comprensione che “il tema degli appalti meritava di essere approfondito: non a caso, da lì in poi ci sarebbero stati gli spunti essenziali per colpire ogni tentativo di infiltrazione. La mafia non si fronteggia solo con l’oratoria, ma con atteggiamenti che consentano arresti e sequestri: combatterla non è una battaglia di destra o sinistra, ma un valore fondante di una società democratica. Mi dispiace solo che in questo paese, in certi casi, le svolte si ottengano solo con il sangue”.
Il sindaco Lagalla ricorda il difficile contesto in cui Dalla Chiesa si era trovato a operare nella Palermo di quel tempo: “Erano anni in cui Palermo e la Sicilia non solo non avevano scelto con chi stare, ma non si erano proprio posti il problema: la morte di Dalla Chiesa scatenò un’onda emotiva che si trasformò in consapevolezza sociale”. Nel celebrare la memoria del generale, il sindaco sottolinea come “anche se non era siciliano di nascita, aveva imparato a conoscere profondamente i siciliani: a Palermo era diventato un punto di riferimento anche per chi come me in quel tempo era giovane. Mi piace ricordarlo come palermitano tra i palermitani e come protagonista primigenio di un nuovo modello di cittadinanza, basato sul rispetto delle regole e delle istituzioni. Non ha lasciato solo un’impronta istituzionale, ma una scia di umanità”.
Cucinotta, alla guida della Prefettura 41 anni dopo Dalla Chiesa, sottolinea come “aveva un grande senso dello Stato e un rigore istituzionale che lo ha portato al sacrificio più grande. La sua memoria è indelebile ed è indispensabile che si mantenga viva, le sue idee sono sempre state rivoluzionarie e noi prefetti beneficiamo tuttora dei poteri straordinari che lui per primo aveva richiesto”.
Per il generale Truglio la figura di Dalla Chiesa all’interno dell’Arma dei Carabinieri “aveva un valore iconico già quand’era in vita. Aveva capito che la mafia non era un fenomeno folkloristico, ma un pericolo per tutte le istituzioni; inoltre, in un momento di grande incertezza legato al terrorismo eversivo e mafioso lui aveva già le idee chiare, sapeva che servivano strutture adeguate e che il fenomeno andava combattuto in maniera sistematica. Aveva un carisma da stratega, perchè sapeva guardare il problema nella sua interezza: tutte le autorità politiche si fidavano del suo giudizio e delle sue azioni”.
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