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Un po’ di cose da sapere sul congedo mestruale

In questi giorni si sta parlando molto di una legge sul congedo mestruale in Italia, che prevederebbe una specie di permesso per le lavoratrici con le mestruazioni particolarmente dolorose. In realtà però, la proposta di legge in questione firmata da quattro deputate del PD – la prima firmataria, in particolare, è la deputata Romina Mura – è stata presentata alla Camera ad aprile dello scorso anno e ora si trova al vaglio della commissione Lavoro, il che significa che potrebbe essere approvata a breve. Quindi, evviva! Esultanze a parte, però, è utile per tutti capire bene in cosa consiste questa proposta e, più in generale, cos’è e che storia ha il congedo mestruale, non solo in Italia, ma nel mondo.

Il contenuto del disegno di legge

La proposta di legge prevede che vengano accordati 3 giorni di permesso retribuito al mese alle donne per le quali i dolori mestruali sono una vera e propria patologia. Questa patologia ha un nome, si chiama dismenorrea e si manifesta quando le contrazioni dovute allo sbalzo ormonale caratteristico del periodo mestruale (passaggio da una fase in cui dominano gli estrogeni a una in cui domina il progesterone) creano sintomi quali mal di pancia molto intenso, mal di schiena, mal di testa, nausea o diarrea. Secondo una serie di studi recenti una donna su dieci soffre di dismenorrea. Più in particolare, come riportato all’interno del disegno di legge, in Italia la percentuale di donne che lamentano forti sintomi è tra il 60% e il 90%. Per il 30% di queste donne i dolori sono invalidanti e quindi un ostacolo per la vita lavorativa e quotidiana. Per avere diritto ai giorni di congedo la dismenorrea deve essere diagnosticata e certificata da un medico. La validità del permesso è annuale e quindi il certificato medico dovrà essere presentato ogni anno, entro il 31 dicembre. Romina Mura, durante un’intervista a Lettera Donna, ha detto che la maggior parte dei quotidiani ha descritto la proposta di legge come un permesso per tutte le donne che hanno le mestruazioni, ma non è affatto così: si tratta invece di un provvedimento preciso, finalizzato a “rendere più facile” la vita di chi soffre di una patologia di cui si parla ancora poco, così come si parla ancora poco di altre patologie, anche più gravi, connesse all’apparato riproduttivo femminile, quali l’endometriosi o i fibromi uterini.

Un precedente importante: il caso di Bristol

L’idea del disegno di legge nasce in qualche modo a partire da un caso importante, di cui si era parlato molto l’anno scorso: quello di un’azienda di Bristol, la Coexist, nella quale 24 su 31 dipendenti sono donne. Bex Baxter, capo della società, aveva deciso di introdurre un congedo lavorativo per le donne con le mestruazioni perché si era accorto che, spesso, le donne dell’azienda o soffrivano in silenzio, vergognandosi di sollevare il problema, o si mettevano a casa in malattia. “Non è giusto”, aveva detto Bex Baxter, “se qualcuno sta male deve poter stare a casa” e aveva aggiunto: “vogliamo che la nostra politica interna permetta alle donne di rispettare i tempi del loro ciclo naturale, senza che questi siano etichettati come una malattia”. Alla base di questo provvedimento c’era la convinzione che permettere alle donne di stare a casa quando hanno le mestruazioni, non significa bloccare il lavoro, ma, anzi, incentivarlo e aumentare la produttività e la creatività generale.

Il congedo mestruale nel resto del mondo

Il caso della Coexist ha rappresentato un precedente importante a livello mondiale, e non solo per l’Italia. Negli USA, ad esempio, le parole di Bex Baxter hanno risollevato la questione, di cui si era però già parlato in modo abbastanza approfondito nel 2014, quando sul magazine The Atlantic era uscito un articolo dal titolo Should Paid ‘Menstrual Leave’ be a thing?. Nell’articolo, ai quali ne erano seguiti numerosi altri, si affrontava l’argomento, a partire dal caso dei paesi asiatici, e in particolare del Giappone, dove il congedo mestruale esiste già da molti anni. Dal 1947 in Giappone esiste un provvedimento che si chiama seirikyuuka, una specie di permesso psicologico che viene accordato alle donne che hanno un ciclo mestruale particolarmente doloroso. In Corea del Sud le donne possono stare a casa un giorno al mese, mentre in Indonesia due. In Cina il congedo mestruale esiste solo in alcune province, come Anhui, Shanxi e Hebei, mentre a Shanghai le attiviste continuano a chiederlo, con pochi risultati. Se è vero che il Giappone è stato il primo paese al mondo a promuovere una legge sul congedo mestruale, dovuta in parte anche alle credenze orientale sulla necessità di rispettare il ciclo femminile per non avere problemi durante i parti, è vero anche che le donne non se ne avvalgono quasi mai. La ragione è che pensano che sia un segno di debolezza che potrebbe avvantaggiare i colleghi maschi e far perdere lavoro a loro. A complicare la situazione si aggiunge la competitività femminile: le donne non sfruttano il congedo mestruale, anche se vorrebbero, perché vedono che le loro stesse colleghe non lo fanno.

Ma il congedo mestruale è un provvedimento sessista?

Il comportamento delle donne Giapponesi, così come la reazione delle donne americane, completamente divise in due fazioni opposte dopo il provvedimento preso dalla Coexist lo scorso anno, ci costringe a farci questa domanda. Non ci giriamo troppo intorno però: la risposta è no. Parafrasando la definizione che troviamo sulla Treccani, il sessismo è una modalità di discriminazione negativa, tesa ad affermare l’inferiorità femminile. In questo caso è chiaro che il congedo mestruale crea una differenziazione, ma non si tratta di un discrimine negativo, bensì di un discrimine che semplicemente esiste ed è giusto che venga rispettato. Quindi no, quella sul congedo mestruale non è in alcun modo una legge sessista: è tutta una questione di abitudine.

Source: freedamedia.it

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