Uno dei ricordi più vividi della mia infanzia è mia sorella che si trucca. Quando andava di fretta, lo faceva in piedi, davanti allo specchio del corridoio. Quando invece aveva più tempo, si metteva in bagno, dove poteva appoggiare il suo beauty sul lavandino. Stavo delle mezz’ore intere a fissarla. Avevo addirittura imparato a memoria la sequenza dei gesti, l’ordine dei prodotti, il ritmo e le pause del procedimento. Era per lei, ma anche per me che la contemplavo, un momento magico, sospeso.
Se aveva tempo, lo faceva molto lentamente: mentre ascoltava la musica oppure parlava con mia madre nell’altra stanza. Non sempre si truccava, ma quando lo faceva io sapevo che saremmo usciti: era il segnale che si stava per andare fuori a mangiare, o al cinema, oppure a una festa. Collegavo quei momenti di rito privato – il passaggio del rossetto sulle labbra, il tocco del pennello sulle guance, l’odore della lacca sui capelli alla fine, come ultima cosa – a ciò che ci attendeva, di lì a breve. Erano l’anticipazione della nostra uscita nel mondo.
Il trucco parla di noi rispetto agli altri, è una specie di estensione della nostra identità e dei nostri desideri. Ci si trucca per incontrare gli altri, come anticipazione della socialità, ma molte donne si truccano anche se non devono incontrare nessuno. Mia nonna, per esempio, si è sempre truccata anche per stare in casa, o per uscire a comprare il pane. Il trucco esprime molto di quello che siamo, anche indipendentemente dagli altri e dal loro giudizio. È un modo per stare bene, per prendersi cura di sé. Per nascondere le cose che di noi ci stanno antipatiche, e per esaltare quelle che amiamo. Ognuno ha il suo particolarissimo rapporto col trucco: c’è chi lo odia e chi lo usa solo per affascinare gli altri, c’è chi ama sperimentare e va alla ricerca di prodotti ogni volta diversi, e chi invece si trucca sempre allo stesso modo da anni.
Il trucco ha una storia molto antica: nel corso del tempo ha assunto vari usi e significati, ma in ogni donna è come se la sua storia ricominciasse daccapo. Allo stesso tempo il make up nasconde e parla, non fa vedere e comunica. È un mondo affascinante, fatto di indizi segreti, che possono davvero dire molto di una persona e del suo modo di essere.
È un vero pilastro della storia del costume e, come tutto ciò che ha a che fare col costume, è soggetto alla moda. Si sa che le mode vanno e tornano e ora è il turno degli anni ’80: snobbati per anni, ora sono tornati con prepotenza alla ribalta.
Gli anni di Prince, Madonna, Cindy Lauper hanno segnato per sempre il pop e la dance, ma anche la moda e lo stile. Sono stati pieni di forme e di colori. Tra questi, i più amati erano soprattutto il fucsia, il rosa bubblegum e il rosa shocking, ma in generale andavano alla grande tutti i colori fluo e appariscenti come l’oro, il turchese, il blu elettrico e il verde smeraldo, magari accostati al nero e ad una cascata di accessori. Gli anni ’80 sono stati un tripudio di metal, lamé e glitter, secondo il motto “more is more”.
E anche per quanto riguardava il make up il principio era lo stesso. Tantissimi i colori delle palette, immancabili i finish metallici e laccati, il contouring enfatico, gli ombretti che arrivavano fino alle sopracciglia (lasciate naturali e folte), il mascara abbondante e i rossetti rossi, rosa, fucsia e arancioni, con effetto lucido e super-glossy. Niente era proibito. La trousse delle donne in questo periodo era davvero ricca, in alcuni momenti forse anche troppo.
Il makeup veniva indossato senza timori e senza limiti, quasi come un segno di riconoscimento della propria forza e della propria personalità. I due elementi principali erano gli occhi, caricati di colori, e il blush super evidente: non c’era sfumatura o ricerca dell’effetto naturale. E il tutto era assolutamente voluto.
Nell’immaginario collettivo gli anni ’80 sono stati anche l’epoca dei brand, del culto delle identità e dei marchi. In Italia uno di quelli più in voga è stato Naj Oleari, un vero e proprio punto di riferimento emotivo per le adolescenti e le ragazze di allora. Coi suoi colori accesi, ma allo stesso tempo raffinati, i suoi pattern e le stampe iconiche – che ricoprivano accessori, borse e quaderni – è stato uno dei marchi dell’eccellenza italiana, uno dei più riconoscibili e imitati. Nell’esplosione di colore e vivacità dell’epoca della disco music – ma anche del punk – le stampe Naj Oleari erano un modo di partecipare alla festa gioiosa del costume dell’epoca, senza rinunciare all’eleganza e alla freschezza, anche perché il marchio ha sempre prediletto i richiami al mondo naturale. Fiori, farfalle, elefanti, cristalli, petali, piramidi, vortici, cerchi: i mitici accessori del brand erano espressione di un gusto per l’astrazione principalmente floreale.
Gli anni ’80 tornano di moda ma siamo sicuri di essere pronti? Qualcuno sì e qualcun altro un po’ meno. Ma forse oggi possiamo riprendere solo le cose belle di quel periodo riadattandole alla contemporaneità. Non c’è scritto da nessuna parte che dobbiamo per forza darci ai mascheroni di make up o a look improbabili tutti glitter e stelle di pelle fosforescente. Possiamo scegliere: abbiamo la libertà di riprendere solo le cose che ci interessano di quel momento così saturo di stimoli e impressioni. E in fondo questo dovrebbe sempre essere un po’ il senso delle mode e delle tendenze: proposte, spunti che ci arrivano un po’ più vicino del solito, e tra i quali poter selezionare quello che ci sembra faccia al caso nostro.
Naj Oleari, proprio in questi mesi è tornata con una linea make up di cosmetici e profumi che sono un vero e proprio omaggio allo spirito, al colore ma anche alle memorabili illustrazioni che hanno tappezzato i sogni e i ricordi di intere generazioni. I vari prodotti vengono presentati con un packaging dal design molto particolare, già di per sé celebrativo della bellezza di ciò che è stato e oggi può essere ancora, ma in modo nuovo e assolutamente moderno. Anche perché trucco e “anni ’80” possono voler dire davvero tante cose. Decidere cosa, tocca solo ed esclusivamente a noi.
Source: freedamedia.it
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