In Italia si lavora tanto, addirittura troppo. Non parliamo di distribuzione del lavoro, ma di orario, perché se da un lato ci sono i disoccupati e i lavoratori part-time, dall’altra ci sono schiere di professionisti, per lo più specializzati – ma anche giovani al primo impiego – che non tornano a casa prima di 12 ore. Ed è solo la media. E’ quanto emerge da un’inchiesta del Corriere della Sera, secondo cui il motivo è da ricercare ancora una volta nella crisi economica che ha portato a un brusco taglio delle risorse. Ne consegue che, secondo i dati dell’Ocse, l’Italia è al settimo posto al mondo come “ore lavorate in un anno per lavoratore” con 1.725 ore. Ma non è un bene. Prima di noi ci sono:
Mentre chiudono la lista Norvegia, Olanda e Germania (quest’ultima con 1.371 ore), tutti Paesi che vantano un’economia solida.
Escono la mattina e tornano a casa la sera, con 12 ore di lavoro e a volte anche di più, se si considera anche l’abitudine a essere reperibili fuori dall’orario ufficio: sono i quadri dirigenti, “specializzati e con competenze non facilmente sostituibili”. Lo stipendio però, avverte Manageritalia, “non è paragonabile a quello degli anni ’90, complice la concorrenza dei disoccupati” . Ma i dirigenti non sono i soli a dimenticare di guardare l’orologio. Tra i superlavoratori ci sono anche:
Il superlavoro “diventa la mossa disperata di un sistema con una produttività che non cresce più. La produttività del lavoro nel nostro Paese non cresce dalla fine degli anni ‘90”, si legge sul Corriere che individua tre motivi principali:
Spesso dove la produttività non cresce si cerca di restare a galla abbassando il costo del lavoro. Un modo è aumentare l’orario a compensi costanti. Il sindacato segnala come sempre più frequenti i casi di straordinari non pagati.
La morale, afferma il Corriere, è che “se vogliamo avvicinarci un po’ alla Germania, dove tutti escono dall’ufficio alle 17, con un tasso di disoccupazione al 5,8 per cento e stipendi decisamente più alti dei nostri, la strada può essere soltanto una: far ripartire la produttività del lavoro”.
Source: www.agi.it