Per dire “basta” alle estrazioni e ai continui finanziamenti che vengono erogati alle infrastrutture, alla ricerca e alla produzione di energia da fonti fossili, Legambiente, in occasione della tappa di Goletta Verde a Vasto, ha organizzato un flash mob sulla spiaggia di Punta Penna, luogo peraltro minacciato non solo dalla piattaforma petrolifera Rospo Mare di Edison ed Eni, ma anche dalla possibile realizzazione di un cementificio, a pochi passi dalla Via Verde e dentro la fascia di rispetto della Riserva naturale regionale di Punta Aderci. Qui, in quella che nel 2014 si è classificata come terza spiaggia più bella d’Italia nel concorso di Legambiente “La più bella sei tu”, sono intervenuti Stefano Ciafani, Presidente nazionale di Legambiente, Luciano Di Tizio, WWF Abruzzo, Paola Cianci, Assessore all’Ambiente del Comune di Vasto, Fernando Di Fabrizio, presidente di COGECSTRE e gestore della Riserva Naturale Regionale Punta Aderci, e Giuseppe Di Marco, Presidente Legambiente Abruzzo, ed è stata lanciata la petizione #NoOil indirizzata al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio.
In Abruzzo le fonti fossili coprono il 74,7% dei consumi totali regionali (Simeri GSE, 2015), contro il 25,3% da fonti rinnovabili. Sul fronte della produzione del gas, le concessioni produttive che estraggono in Abruzzo sono in tutto 14, 7 sulla terraferma e 7 in mare, per un totale di 1.349,6 kmq. La produzione nel 2017 è stata complessivamente di 174,2 milioni di metri cubi standard (Smc), pari a circa il 3,1% della produzione nazionale. Le concessioni produttive abruzzesi sono riconducibili a 8 società: ENI Spa ne detiene 6 in esclusiva, mentre le altre sono quasi tutte in comproprietà. I pozzi totali presenti nelle 14 concessioni sono 81 di cui 20 risultano produttivi e 61 tra non eroganti e non produttivi.
La produzione di petrolio, invece, nel 2017, è stata pari a 158 mila tonnellate, 3,8% della produzione nazionale, mentre quella di gas è stata di 174,2 milioni di Smc, pari a circa il 3,1% della produzione nazionale, che, stando agli attuali consumi, coprirebbero l’0,3% del fabbisogno del nostro Paese attraverso la produzione di olio e lo 0,2% con quella di gas. Numeri certamente poco incidenti sul bilancio energetico nazionale ma che nei territori e nei mari interessati dai progetti di trivellazione portano a rischi ambientali importanti: in caso di incidente, infatti, verrebbero messi in ginocchio turismo e pesca, come testimoniato dal disastro causato nel 2010 dalla piattaforma petrolifera della BP nel Golfo del Messico.
Il rischio sulle coste abruzzesi è già presente con la piattaforma Rospo Mare: gli impianti di produzione, che Edison gestisce in qualità di operatore al 62% in joint venture con Eni al 38%, sono installati sulle piattaforme di Rospo Mare A-B-C distanti 2 chilometri dalla nave di stoccaggio FSO Alba Marina. Il titolo minerario, concesso il 9 marzo 1978 per trenta anni, è stato prorogato una prima volta nel 2008 fino al 9 marzo 2018. È arrivata ora una nuova proroga, di altri 5 anni, fino al 9 marzo 2023, concessa ad Edison ed Eni dal Ministero dello Sviluppo Economico (MiSE) per la piattaforma situata davanti alla costa tra Vasto e Termoli, in un tratto di mare prospiciente il nascente Parco della costa teatina. La decisione del dicastero è stata pubblicata nel bollettino dell’Unmig (Ufficio Nazionale Minerario per gli Idrocarburi e le Georisorse) di Ottobre 2017. Il decreto autorizza “la prosecuzione del normale esercizio della coltivazione con gli impianti e i pozzi esistenti, senza variazione del programma dei lavori già approvato” oltre alla riduzione dell’area da 369,62 kmq a 277,30 kmq.
Le tre piattaforme e la nave FPO di Rospo Mare sono all’interno delle 12 miglia per le quali Edison aveva chiesto la Valutazione di Impatto Ambientale per l’autorizzazione per la perforazione di diversi nuovi pozzi. La norma approvata dal Parlamento esclude entro le 12 miglia nuove operazioni di perforazione per tutti i titoli, ma un decreto del MiSE, assolutamente inaccettabile, sta cercando di bypassare in maniera subdola tale divieto di legge introducendo la possibilità per i concessionari di chiedere la modifica del programma dei lavori. “Per ora questa clausola, su cui ci sono diversi ricorsi, non è scattata per Rospo Mare ma è necessario tenere alta la guardia – spiega Giuseppe Di Marco, presidente Legambiente Abruzzo – In generale, vista la crisi ambientale planetaria per i cambiamenti climatici, considerati i problemi avuti nel passato anche da questa piattaforma e la scelta del nuovo piano regionale sul turismo che punta sulle bellezze naturali dell’Abruzzo e la qualità dei suoi territori, è indifferibile uscire quanto prima dal mondo degli idrocarburi. E qui a Punta Penna stoppare definitivamente la follia del progetto del cementificio, sul quale lo scorso marzo abbiamo presentato un ricorso al Tar insieme al WWF. Anche l’arrivo della Zona Economica Speciale (ZES) deve essere vista come un’opportunità che va in questa direzione, ovvero fuori da cemento e petrolio e più in generale da quell’industria impattante e storicamente superata. Le linee guida sono la Carta di Pescara e la strategia S3 della Regione Abruzzo che parlano di industria e filiere green per una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva, come ci ricordano gli indirizzi strategici ed i programmi operativi previsti nella politica dell’Unione Europea”.
Sono almeno 10 le compagnie che hanno fatto richiesta di ricerca e prospezione per nuove aree, per 2.022,8 kmq per la terraferma e 2.164,5 km in mare. La produzione abruzzese di petrolio, nel 2017, è stata pari a 158 mila tonnellate pari al solo 3,8% della produzione nazionale. Analizzando le estrazioni di greggio negli ultimi anni si nota come il trend produttivo dal 2010 al 2017 abbia avuto una prima fase di decrescita fino al 2012, una crescita nel periodo 2012-2014 e poi un continua decrescita dal 2014 al 2017, con un complessivo -29% nell’intervento temporale. Oltre alle concessioni produttive, sul territorio abruzzese ricadono anche 14 permessi di ricerca tra terra e mare, che interessano 3.851,4 kmq e 1.343,5 kmq. I permessi di ricerca sono riconducibili a 10 società. Le istanze di permesso di ricerca in Abruzzo sono in tutto 11, 8 delle quali a terra (2.022,8 kmq) e 3 in mare (2.164,5 km).
“I numeri raccontati nel dossier di Legambiente “No Oil Abruzzo” – conclude Stefano Ciafani, presidente nazionale di Legambiente – raccontano bene non solo il ruolo, oggi ancora determinante delle fonti fossili anche a causa di politiche mancanti di sviluppo di un nuovo sistema energetico innovativo e rinnovabile, ma anche come le produzioni siano in costante riduzione da anni. Scegliere di continuare di estrarre gas e petrolio non solo mette a rischio il raggiungimento degli obiettivi climatici, ma anche quelli di sviluppo locale della Regione Abruzzo, vittima della poca lungimiranza e della mancanza di coraggio dei Governi, che invece di investire su un nuovo modello energetico, che permetta il cambio di rotta verso un futuro 100% rinnovabile, continuano a supportare lo sviluppo di politiche energetiche dipendenti dalle fonti fossili. Dopo aver contribuito alla definizione di obiettivi europei al 2030 su rinnovabili ed efficienza molto ambiziosi, chiediamo al ministro dello Sviluppo economico Luigi Di Maio di segnare un’altra discontinuità con i governi precedenti, sempre pronti a soddisfare ogni proposta delle arroganti compagnie petrolifere fermando la corsa all’oro nero nel nostro Paese”.
Source: lanuovaecologia.it
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