Starbucks senza filtro, ecco la verità sulla catena di caffè che domina il mondo – DI Helene Riffaudeau
Dietro la sua allettante vetrina, Starbucks si rivela meno cool di quanto appare. Per un intero anno, Luc Hermann e Gilles Bovon hanno investigato sulla multinazionale americana del caffè.
Condizioni lavorative dei salariati, impegno ecologista, evasione fiscale e insediamento aggressivo: tutto è stato passato al setaccio.
TéléObs. Come avete iniziato questa vasta inchiesta?
Luc Hermann. – Con Gilles Bovon, co-realizzatore, siamo partiti dall’aura del marchio.Quando aprì il primo Starbucks a Strasburgo, certi giovani si misero in coda alle 4 del mattino per… bere un semplice caffè.
Piuttosto caro, per quanto buono potesse essere – lo scontrino medio del consumatore sale a 7 euro.
Questo risulta tanto più sorprendente per il fatto che, intorno, ci sono assolutamente ovunque, bar e locali.
Come ha potuto questo beverone diventare un tale prodotto di lusso? La multinazionale gode di una immagine molto buona: cool, ecologica, vicina ai suoi clienti così come ai dipendenti ed ai produttori di caffè … e si rivendica come marchio di fascia alta, molto sociale, impegnato nel commercio equo, nell’ecologia …. noi abbiamo indagato su quel che si nascondeva dietro questo incanto.
Voi mostrate, specialmente a telecamera nascosta, quanto siano difficili le condizioni lavorative.
Non immaginavamo che i baristi passassero un terzo del loro orario di lavoro a …. fare le faccende.
Nessuno dei salariati incontrati è disponibile a lasciare una testimonianza, nemmeno dopo avere lasciato l’impresa. Solamente un dipendente americano, che si è espresso a viso scoperto, ha accettato.
Passati diversi mesi, abbiamo preso la decisione di fare imbucare una giornalista affinché potesse filmare i retroscena di uno Starbucks parigino, e questo si è rivelato molto istruttivo.
Nel vostro filmato si vede anche che le rivendicazioni ecologiste del marchio nascondono una pratica di “greenwashing”.
Grazie all’ONG Stan.earth, abbiamo scoperto che i bicchieri dell’azienda non sono riciclabili.
Ora, Starbucks ne utilizza 4 miliardi l’anno. D’altronde, necessita di una quantità sbalorditiva di chicchi di caffè per alimentare le sue 28.000 botteghe, le quali, tutte, rivendicano di praticare un commercio equo, in particolare bypassando gli intermediari per meglio remunerare i produttori.
Ora, in realtà, per avere prodotti di effettiva qualità, la multinazionale ricorre a grossisti e a traders, il che comporta un indebolirsi dei ricavi per i piccoli produttori del Chiapas.
Parliamo di caffè, appunto. Starbucks riesce a vendere dei caffè più calorici della gazzosa.
Bryant Simon, professore di Storia all’università Temple di Filadelfia e autore del libro “Everything but the Coffee” (“Tutto tranne che il caffè”) ci spiega come l’azienda abbia avuto l’idea di creare bevande molto più zuccherate a causa dell’abitudine del consumatore di non bere caffè passata una certa ora del giorno.
Questo gli ha permesso di conquistare quelli che non amavano la bevanda. Nei fatti, Starbucks è riuscito a far passare questo messaggio: se venite da noi non troverete patate fritte o milk-shake, quindi potrete concedervi un momento di piacere.
L’azienda ha una storia molto singolare, iniziata con l’apertura di un piccolo bar a Seattle…
In origine, Starbucks era un frutto della contro-cultura! Di fronte alla standardizzazione del gusto, nel 1971 un gruppo di amici apre un bar a Pike Place Market, lo storico mercato coperto della città.
L’idea era importare del caffè di qualità per farlo conoscere al grande pubblico americano.
E’ solo con l’arrivo di Howard Schultz, prima come direttore del marketing, poi come PDG di Starbucks fino alla passata primavera, che le cose prendono una piega diversa.
Negli Stati Uniti ha fama di imprenditore atipico, molto socievole. Ad un livello di responsabilità pari al suo, è raro che si prendano posizioni progressiste così coraggiose su Trump o la politica sociale statunitense.
Ma d’altra parte potrebbe avere delle ambizioni politiche di alto livello … Noi l’abbiamo contattato, persino assillato, molte e molte volte, tramite il suo indirizzo mail personale, ripiegando infine sulla sua segretaria e su dirigenti che lavorano al suo stesso piano! Invano.
Pertanto, avremmo desiderato poterlo intervistare proprio su questo “bluff” consistente nel vendere caffè estremamente caro, trarne profitto e soddisfare gli azionisti.
Lui qualifica i negozi Starbucks come “terzi luoghi”.
Sì, con questo voi intendete un luogo di conversazione e di scambio. Il sociologo Ray Oldenburg ha teorizzato questo concetto, che lui chiama “terzo–luogo” o “terzo-spazio”: un luogo di incontro tra la casa e il lavoro dove i cittadini possono riunirsi, dibattersi, parlare di politica …
Nella realtà, si vedono soprattutto degli individui che, profittando della connessione wi-fi, sono soli davanti al loro Mac o il loro smartphone.
Come siete giunti a eludere le comunicazioni ufficiali della multinazionale?
Come per McDonald’s, c’è una agenzia di comunicazione esterna, Edelman, che gestisce le relazioni con i giornalisti.
I nostri interlocutori conoscono Premières Lignes, la nostra agenzia di stampa, i nostri documentari d’investigazione e la rivista “Cash Investigation”.
Malgrado il suo rifiuto di concederci un’intervista del patron, il marchio ci ha lasciato la libertà di intervistare degli alti quadri, nonché girare nei saloni Starbucks.In compenso non eravamo autorizzati a parlare con gli altri dipendenti.
La vostra inchiesta ritorna sulla strategia di insediamento di Starbucks messa in luce da Naomi Klein nel suo libro “No Logo”.
Sì, si tratta di un impossessamento di territorio. In uno stesso quartiere, diversi stabilimenti aprono non lontani uno dall’altro anche se non tutti sono autonomi economicamente.
Questa saturazione soffoca la concorrenza. Il gestore di un bar nell’East Village,a New York, ci ha raccontato di aver scoperto, un giorno, un architetto che prendeva misure nel suo locale.
Alle sue spalle, Starbucks aveva contattato il proprietario dell’immobile per subentrare nel contratto d’affitto. Il barista ha così perduto il suo commercio.
Attualmente, la Cina è il suo nuovo terreno di conquista, vi si apre un caffè in media ogni 15 ore.
Voi mettete in luce il meccanismo dell’ottimizzazione fiscale della multinazionale.
Grazie alle rivelazioni del nostro giornalista Edouard Perrin sul LuxLeaks, conosciamo bene gli schemi di ottimizzazione fiscale utilizzati dalle grande imprese.
Per pagare meno imposte, Starbucks ha stetto un accordo con il governo olandese. Il sistema è ben rodato: in virtù di un sistema di prestiti fra filiali, le insegne francesi sono rese artificialmente deficitarie presso altre filiali straniere.
Risultato, il marchio realizza un importante giro d’affari, ma senza pagare alcuna imposta. E’ stato comunque smascherato dalla Commissione Europea, e attualmente deve versare 26 milioni d’euro di sanzioni.
Source: http://www.informarexresistere.fr
RIMINI (ITALPRESS) – Il CONOU partecipa anche quest’anno a Ecomondo a Rimini, fiera della green e circular economy.Il Consorzio è…