Non capivo se lo volevo perché lo volevo io o perché tutte le femmine lo vogliono, o perché a un certo punto lo vorrai e perciò tanto conviene che ti avvantaggi e lo vuoi prima che sia troppo tardi.
Stamattina ho accompagnato mia madre dal medico, un signore che mi è stato simpatico finché non ha scoperto che avevo trent’anni e non mi ha fatto la fatidica domanda, pensando però che fosse più opportuno rivolgerla indirettamente. Ha guardato mia madre e le ha chiesto: “nipoti ne abbiamo?”
A mano a mano che mi sono avvicinata ai trenta questa domanda si è fatta sempre più presente e pressante nella mia vita, assumendo le forme più varie, che spaziano da un semplice sguardo interrogativo dei parenti alle invadenti considerazioni di conoscenti casuali che si sentono in dovere di ricordarti che “tic-tac, le senti le lancette dell’orologio biologico?”. State tutti molti calmi – pensavo – perché le sento, ma magari non me ne frega niente di questo benedetto rumore. Crescendo ho capito di desiderare un figlio, ma, ancor più della mia maternità, mi sta a cuore il diritto che ognuno ha di scegliere liberamente per la propria vita.
Ci ripetiamo spesso che le cose sono cambiate, che la nostra vita non è scandita dalle stesse tappe prestabilite che hanno costituito l’esistenza dei nostri genitori o dei nostri nonni – riassumibili in: conosci qualcuno, te lo sposi, ci fai dei figli, li cresci e poi ti assapori la pace dei sensi e i nipoti. Ma la verità è che, se nasci donna, non fai in tempo a goderti l’enorme soddisfazione di essere riuscita a prenderti qualche responsabilità da adulta, tipo farti il letto la mattina e avere sempre una confezione di dentifricio di scorta, che una cosa ancora più grande di te ti invade: il mito della maternità, quell’idea secondo cui i figli li devi volere per forza, e ti conviene anche farli in fretta perché gli anni a disposizione sono quelli che sono. Succede così, improvvisamente: un giorno ti stai prendendo un birra con gli amici per festeggiare la fine della sessione di esami, e pensi che quella tizia che era con te al liceo e che è già incinta sia una matta incosciente, e quello dopo tutti intorno a te aspettano dei figli o si aspettano che tu li voglia. E tu ti ritrovi spiazzata, e inizi a chiederti cosa vuoi veramente.
Una volta, una donna senza figli era diversa. Si trovava in una condizione particolare. Aveva un problema. Poteva essere, a seconda dei casi: sterile, zitella o suora. Poi, a partire dalla rivoluzione sessuale degli anni Settanta, ha cominciato a prendere forma un mutamento delle coscienze, e un pensiero nuovo ha iniziato a far- si strada: forse, una donna poteva scegliere di non avere figli.
Certo, le cose rispetto a “una volta”, sono cambiate, ma non poi così radicalmente. È cambiata la superficie, ma non abbiamo eliminato quelle pressioni che ci portano a vivere passivamente situazioni che di fatto non abbiamo deciso in modo autentico. Per intenderci: vogliamo davvero avere dei figli o si tratta di un desiderio indotto dal contesto esterno? È un interrogativo che potremmo porci sulla maggior parte delle cose che desideriamo, ma è evidente che in questo caso la posta in gioco è diversa. Il percorso che porta a comprendere in modo profondo cosa vogliamo è lungo e richiede un grande lavoro con e su stessi, un lavoro che nessuno dovrebbe poter giudicare.
Michela Andreozzi è scrittrice e sceneggiatrice, ha quarant’anni e spicci, non ha figli, non li vuole, e su questo suo non desiderio non ha solo diretto e interpretato un film uscito lo scorso anno, Nove Lune e Mezza, ma ha anche scritto un libro bello e ironico, edito da HarperCollins e in uscita il prossimo 7 giugno. Non me lo chiedete più. #Childfree, La libertà di non volere figli e non sentirsi in colpa, a partire da un dato autobiografico riflette con intelligenza, ma senza pesantezza, sul percorso che porta una donna a decidere legittimamente di non voler essere madre.
In effetti, posso dire a posteriori che io l’istinto materno non l’ho mai sentito. Quel sentimento che mi raccontano essere come un languore, un appetito di vita. Quel desiderio di perpetrare la razza umana stringendo a sé un calore personale, privato. La voglia incontenibile di dare la vita a quell’altro da te che non sei tu. L’urgenza di ricostruire il nucleo originario, di chiudersi nel nido, fare bozzolo, sentirsi vive attraverso la genesi della vita. È meraviglioso: ne ho sentito parlare. Ma non l’ho mai provato. Il mio orologio biologico non fa rumore.
Le donne che non vogliono figli sono aumentate molto negli utili tempi, eppure solo il 2% di queste si sente libero di dichiararlo apertamente: le altre preferiscono tacere la loro decisione, o comunicarla col tempo, gradualmente, per evitare di sentirsi giudicate. Childfree è il termine che è stato coniato appositamente per descriverle, e Andreozzi nel suo libro ci tiene a distinguerlo dall’altra parola che si utilizza generalmente in questo caso, cioè Childless: la seconda infatti indicherebbe una condizione (il non poter avere figli per problemi di sterilità), mentre la prima implicherebbe una scelta ponderata. L’esigenza di apporre un hashtag davanti al termine è quello di indicare una categoria che merita di essere riconosciuta e rispettata.
La pressione sociale è un vero e proprio mobbing. Sottile, fatto di giudizi, paragoni, allusioni, confronti, sfide. È possibile non avere figli, ma non ti è permesso rifiutarne l’idea. Dire: «Io non ne voglio, grazie» è difficilissimo.
Lo è perché la nostra è ancora una società che vive la biologia come un dato attorno a cui progettare la propria esistenza, come un destino prestabilito, un compito. E se neghi questo dato allora sei automaticamente strana, sbagliata, colpevole; in una parola: egoista. È opinione abbastanza diffusa, infatti, che non avere figli sia una scelta egoista. Egoista sia in senso biologico, perché si rinuncia a svolgere il proprio ruolo all’interno della specie, manifestando disinteresse nei confronti delle generazioni future, sia in un senso individuale, perché scegliendo di non avere figli non si sperimenta mai la forma di amore considerata più completa, l’unica che ti spinge a uscire da stesso e a dare tutto in modo incondizionato. Diciamolo subito: NO, non avere figli NON è una scelta egoista. E potremmo stare qui a elencare una serie di argomentazioni a sostegno di questa tesi. La verità è che tutte queste argomentazioni lasciano il tempo che trovano e che forse sono inutili, perché rischiano di far leva su forme di stereotipi e pregiudizi simili a quelle sfoderate da chi si scaglia contro le donne che scelgono di non avere figli. Non avere figli non è una decisione egoista, è semplicemente una decisione, ciò che di più intimo e personale ci sia, e come tale deve essere rispettata e tutelata.
Source: freedamedia.it