Avere più di un lavoro ormai è abbastanza comune; io stessa, come molti miei amici, a fasi alterne ho avuto più di un impiego, spesso da freelance. E così, nel “tempo libero” c’è chi scrive, chi fa siti web, chi la dog-sitter, chi insegna e chi lavora in palestra. In alcuni casi è una scelta obbligata perché è l’unico modo che abbiamo per ottenere quel qualcosa in più che non riusciamo a guadagnare con il nostro lavoro primario; in altri invece è una scelta dettata dal desiderio di ritagliarsi uno spazio di lavoro che piace e gratifica di più. O almeno questo è quello che suggerisce un recente articolo apparso su Quarz, che parla del secondo lavoro come “tutto ciò che abbiamo”: è davvero così?
Facciamo subito una premessa: parlare del “nostro” mondo del lavoro è difficile, e ancor di più lo è fare un paragone tra paesi diversi. Potremmo riassumerlo così: un mix di aspettative disilluse, nuove opportunità e lunghi tempi di attesa. Ovviamente ognuno ha la propria storia, ed è impossibile comprendere in una sola voce le singole esperienze di ciascuno: c’è chi è disoccupato, chi ha tre lavori, chi studia e lavora, chi fa uno stage non pagato, chi ha un contratto a tempo indeterminato e altre varianti che conosciamo bene. Quello che è certo è che più o meno tutti ci siamo trovati, almeno una volta, ad avere orari imprecisati, stipendi bassi e difficoltà a far quadrare i conti a fine mese. Ed è evidente che proprio questa condizione di precarietà ci ha spinti a considerare fin dagli inizi la possibilità di un secondo lavoro.
Sia chiaro: sicuramente il fattore economico gioca un ruolo importante – contando già la difficoltà a trovarne uno, di lavoro – ma non si tratta solo di questo: il secondo lavoro è anche una sorta di salvagente psicologico; se è vero che uno dei due lavori ha spesso a che fare con qualcosa che ci piace è vero anche che in questo modo abbiamo la possibilità di continuare a coltivare le nostre passioni e la nostra creatività. L’esempio mi suona famigliare perché la categoria degli attori è sempre associata al doppio lavoro, che è l’unico modo per potersi tutelare nei periodi in cui gli ingaggi artistici scarseggiano – ed è evidente che questa scelta può aiutare non solo il portafoglio, ma anche la testa. Personalmente avere un mestiere diverso da quello dell’attrice mi ha dato ossigeno e continuità laddove mi mancavano – non senza sacrifici, ma pur con la consapevolezza di star lottando per tenere in piedi la mia indipendenza tanto quanto le mie aspirazioni. Un gioco di equilibri sottili che può essere faticoso, certe volte stressante, ma senz’altro un buon modo per non sentirsi imprigionati in scelte che non ci corrispondono o “fregati” da quel mondo che ci aveva promesso che saremmo potuti diventare quello che volevamo – basta scegliere! – e che la vita lavorativa ha prontamente smentito. Nel migliore dei casi – e naturalmente con tutti i se e i ma dell’esperienza personale – potrebbe essere il modo giusto per dire che ok, le cose non saranno andate esattamente come avevo sperato, però ho un lavoro che mi permette di vivere e di coltivare nei ritagli di tempo delle passioni che forse, un giorno, troveranno il giusto spazio nella mia vita.
Se il mondo è cambiato e abbiamo la sensazione di non stare al passo, forse dovremmo ricrederci perché, pur con fatica, siamo riusciti a modificare aspettative e idee, senza però rinunciare del tutto ai nostri piani. L’illusione di stare con un piede in due scarpe? Il rischio di fare tante cose male? Il dubbio di tenersi occupati in mille attività per non guardare alle cose essenziali e perdere di vista l’obiettivo? Sono possibili derive, è vero, ma da un certo punto di vista va detto che alcuni mutamenti richiedono tempo e in questo periodo, dove molti mestieri sono spariti o drasticamente cambiati, crearsi dei nuovi spazi lavorativi aiuta a non rimanere bloccati ad aspettare che qualcuno ci spieghi da che parte dobbiamo andare.
Forse un giorno riusciremo ad avere un solo lavoro – magari quello che abbiamo sempre desiderato – ma fino ad allora, quella del secondo lavoro dovremmo viverla più come una possibilità che come un limite: è un modo per ricordarci che il processo della nostra realizzazione lavorativa non è immediato, ma necessita di fasi che vanno attraversate; che c’è un tempo per tutto, anche per valutare diverse alternative e capire chi o cosa vogliamo davvero essere e diventare.
Source: freedamedia.it