Il 7 luglio del 2016, a Pamplona, Spagna, si festeggiava la festa di San Firmino. In quell’occasione, cinque uomini di età compresa tra i 27 e i 29 anni, membri del gruppo WhatsApp La Manada (che in italiano significa “il branco”), hanno incontrato una ragazza di 18 anni, e si sono offerti di accompagnarla alla sua macchina. Sono invece finiti nell’androne di una casa, la cui porta era rimasta aperta, dove a turno hanno stuprato la donna. José Ángel Prenda, Alfonso Cabezuelo, Antonio Manuel Guerrero, Jesús Escudero e Ángel Boza – sono questi i loro nomi – hanno anche realizzato dei video dello stupro, di cui, nei giorni seguenti, hanno parlato tramite WhatsApp, vantandosi di quanto fatto e valutando di mandarli ad altri amici. Dopo la violenza, la ragazza è stata soccorsa da una coppia che stava passando da quella strada. All’arrivo della polizia ha descritto i suoi aggressori, che il 9 luglio, sono stati fermati e arrestati, senza possibilità di essere rilasciati su cauzione.
I cinque uomini sono stati accusati di aggressione sessuale non consensuale, con l’aggravante di aver deriso la vittima (riprendendola durante l’accaduto) e della disparità numerica (erano cinque contro uno). Senza contare che, nei mesi successivi al fatto di Pamplona, sono stati rinvenuti altri video che immortalavano alcuni membri de La Manada, intenti ad abusare di un’altra ragazza praticamente incosciente, a Pozoblanco. Insomma, per tutte queste valide ragioni, durante il processo, l’accusa ha richiesto che gli uomini venissero condannati a 22 anni e 10 mesi di reclusione, per il reato di aggressione sessuale. Secondo la difesa, invece, il rapporto sarebbe stato consensuale.
Il processo, che si è svolto a porte chiuse a novembre 2017, è stato molto criticato, perché sul banco degli imputati sembrava esserci la vittima, e non i suoi aguzzini. La ragazza è stata costretta a tornare a Pamplona, quando aveva chiesto di poter testimoniare in videoconferenza. Oltre ad essere stati analizzati i video dell’accaduto, per mostrare – secondo la tesi della difesa – che il volto inerme della ragazza implicava assenza di coercizione e quindi di dissenso manifesto (come se da sola, contro cinque uomini, avesse potuto agire diversamente), è stata anche passata al setaccio la sua vita prima e dopo lo stupro. Tra le prove portate a sostegno della difesa c’era infatti anche il materiale di un’indagine svolta da un detective privato, nel quale si mostrava la vittima sorridente, insieme a degli amici, a dimostrazione della scarsa traumaticità e dello scarso impatto che l’accaduto ha avuto sulla sua esistenza – è banale ricordare che il modo in cui si reagisce a una violenza è assolutamente personale e non intacca lo status di vittima? Evidentemente no, non lo è.
Il 26 aprile, dopo mesi di attesa, è finalmente stata emessa la sentenza: gli uomini de La Manada sono stati condannati per abuso sessuale a 9 anni di carcere. L’accusa di aggressione sessuale, che avrebbe previsto la condanna richiesta a 22 anni, è stata invece respinta. Secondo la legge penale spagnola, abuso e aggressione sono due reati differenti. Entrambi implicano la presenza di un rapporto sessuale, quindi di una penetrazione vaginale o anale, ma solo nel caso dell’aggressione questo avviene in modo completamente non consenziente, previa violenza o intimidazione. Nel caso dell’abuso, invece, il rapporto avverrebbe in modo non completamente libero, frutto cioè di un consenso viziato. Questo significa che il reato di abuso è considerato meno grave rispetto a quello di aggressione.
La sentenza non poteva che essere accolta dalle manifestazioni delle donne spagnole, che, a partire da Pamplona, dove hanno indossato dei guanti rossi, si sono diffuse in tutto il paese. E da lì, tutto il mondo ha iniziato a mobilitarsi, lanciando e aderendo ad hashtag e slogan come “Non è un abuso, è uno stupro”, “Se toccano una di noi, toccano tutte”, “Io ti credo”. Perfino alcune suore di clausura, le carmelitane di Hondarribia, si sono espresse contro questa sentenza, affermando che la loro scelta di castità e clausura è stata libera, e che la stessa libertà deve essere garantita a tutte le donne che invece scelgono di vivere diversamente:
Noi viviamo in clausura, indossiamo un vestito che arriva quasi alle caviglie, non usciamo mai la notte (tranne per le emergenze), non andiamo alle feste, non beviamo alcolici e abbiamo fatto voto di castità. E’ una scelta che non ci rende migliori o peggiori di nessuno, sebbene paradossalmente ci rende più libere e felici di molte. E proprio perché è una scelta libera, difendiamo con tutti i nostri mezzi a nostra disposizione (e questo è uno di quelli) il diritto di tutte le donne di fare liberamente il contrario senza per questo essere giudicate, violentate, intimidite, assassinate o umiliate. Sorella, io sì ti credo.
Le manifestazioni che hanno invaso le strade spagnole non sono solo un grandissimo atto di sostegno e supporto a una ragazza che a 18 anni si è trovata vittima di un orribile atto di violenza. Ma sono anche un’importante richiesta di revisione di una legge che minimizza lo stupro, riflettendo a pieno una mentalità che oggi non possiamo più accettare. È per questo che dobbiamo essere unite, perché una sentenza come quella di Pamplona è davvero una sentenza contro ognuna di noi. Ed è per questo che noi di Freeda vogliamo unirci al coro di voci che in questi giorni si è alzato, opporci alla gerarchizzazione della violenza di genere, e dire “se toccano una di noi, toccano tutte”.
Source: freedamedia.it
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