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Scegliere di non avere figli

Da un po’ di tempo si è iniziato a parlare con maggiore frequenza di quello che alcuni definiscono come un fenomeno: la scelta di non avere figli.

Se ne parla di più, è vero, ma non ancora abbastanza, e soprattutto lo si fa in modo molto confuso, mescolando dati e pregiudizi, miti e biologia, lanciandosi spesso in valutazioni etiche non particolarmente edificanti (una delle più gettonate è: “chi non ha figli è egoista”), che nella maggior parte dei casi sono rivolte alle donne.

Basta pensare alla campagna per il Fertility Day dello scorso settembre. Pregiudizi e confusione sono due cose che non mi piacciono, soprattutto quando vanno a braccetto e producono pressioni psicologiche in relazione a scelte che dovrebbero essere libere e personali. Per questo ho deciso di affrontare il tema, con l’obiettivo di farlo nel modo più chiaro possibile. 

Cosa dicono i dati

Partiamo da una considerazione: il motivo per cui si sta parlando sempre di più della scelta di non fare figli va ricercato nei dati. In Italia, così come in molti altri paesi occidentali, il tasso di fecondità, cioè il numero medio di figli che fa ogni donna, è basso e – cosa considerata ancora più preoccupante – non cresce da diversi anni. Stando ai dati dell’ISTAT, ad esempio, questo tasso nel 2014 era lo stesso del 2004 e si aggirava intorno all’1,4.

L’OCSE (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) spiega che il calo brusco di questo valore è iniziato tra gli anni ’70 e ’80 e si è poi assestato – anno più, anno meno – a questo livello, che è tra i più bassi. Sempre l’OCSE ha registrato che in Italia le donne nate nel 1965 (e quindi uscite dal periodo naturale di fertilità) che non hanno avuto figli sono il 24% (il 10% in più rispetto a quelle nate nel 1960), mentre negli Stati Uniti sono il 14% e in Francia il 10%.

Perché scegliamo di non fare figli

I dati che abbiamo appena osservato sono a loro volta determinati da delle ragioni, che chi studia statistica, sociologia o demografia, ha cercato di individuare, anche se si tratta di un’impresa piuttosto ardua. Maria Letizia Tanturri e Letizia Mencarini, docenti di statistica, hanno analizzato questo fenomeno, che in termini scientifici è definito generalmente come “infecondità”. Secondo il loro studio bisogna prima di tutto distinguere tra due tipi di infecondità: quella momentanea e quella permanente, dove questa distinzione può essere realmente fatta solo quando il soggetto è uscito dalla fase riproduttiva della sua vita.

A partire da questa prima distinzione se ne può poi fare una seconda: quella tra infecondità volontaria e involontaria.

Quando si parla di infecondità involontaria si parla chiaramente di donne che, a causa di diverse patologie, non possono avere figli. Quando si parla di infecondità volontaria si parla invece di donne che scelgono di non avere figli, ed è questa seconda categoria che mi interessa di più. Secondo le studiose, le ragioni che determinano questa scelta sono varie: c’è chi procrastina in continuazione il momento in cui li farà perché è “alla ricerca del partner giusto”, c’è che la percentuale di donne che intraprendono gli studi universitari tra i 20 e i 30 anni è aumentata sensibilmente e, una volta finiti gli studi, le ragazze non hanno voglia di rinunciare alla propria realizzazione e alla propria carriera per fare subito dei figli (da un punto di vista demografico questo fenomeno prende il nome di “trappola della sicurezza”).

E poi c’è chi semplicemente non vuole figli: la cosa curiosa è che la percentuale di donne che dichiarano apertamente di non volerli, fin dall’inizio, si aggira attorno al 2%: è bassissima. Si nota infatti che la scelta di rimanere senza figli per le donne viene quasi sempre descritta come temporanea, anche quando in realtà interiormente non è percepita così, e diviene definitiva man mano che aumenta l’età. Le donne hanno cioè ancora paura di dire apertamente che non desiderano figli perché si sentono giudicate, perché siamo ancora in una fase in cui la società si aspetta qualcosa di diverso da noi e perché finiamo sempre col subire delle pressioni psicologiche (mascherate da biologia) molto pesanti.

Come si chiamano le donne senza figli

Piccolo excursus terminologico, prima di considerare altri punti di vista. Ogni volta che un fenomeno inizia a riguardare una quantità considerevole di persone, e quindi diviene sociale, succede che abbiamo bisogno di trovare una parola per descriverlo e, al tempo stesso, per poterci eventualmente identificare in quel gruppo sociale appena nato, la cui libera esistenza non è mai troppo chiara. Anche in questo caso è successo. Per indicare le donne che scelgono di non avere figli sono stati coniati diversi termini.

Un articolo di Soft Revolution, che inquadra il tema offrendone una visione ampia, li ha messi insieme tutti. Tra questi, quelli più utilizzati nel linguaggio corrente sono: Childless e Childfree, dove la distinzione tra “less” e “free” corrisponde a quella tra chi non può avere figli e chi decide di non averne. Poi abbiamo Dink, acronimo di “double income no kids”, cioè due stipendi e nessun bambino; e infine abbiamo il termine No-mo (no mamma), coniato appositamente da Jody Day, che ha anche fondato un’associazione a favore delle donne che decidono di non avere figli, Gateway.

Luoghi comuni e falsi miti

Le donne che non hanno figli si sentono spesso ripetere una serie di frasi, alcune volte a mettere loro pressione, altre a esprimere una valutazione sul loro stato di no-mo. Potremmo racchiuderle tutte in un’affermazione di questo tipo: “affrettati perché hai sempre meno tempo e poi te pentirai”, alla base della quale ci sono due grossi luoghi comuni o pseudo-falsi miti.

Da una parte c’è la storia dell’orologio biologico: “fai in fretta, hai sempre meno tempo”.

Una delle convinzioni più diffuse, sulla base della quale è stata anche costruita la campagna del Fertility Day, è che le donne, soprattutto quelle italiane, decidano di fare figli tardi, una volta raggiunta una certa stabilità e superati i trent’anni, in un periodo cioè in cui la fertilità inizia a subire un calo. A lungo si è pensato, scritto e detto che la fertilità femminile diminuisce tra i 28 e i 30 anni. Un dato, questo, che è stato ultimamente messo in dubbio: un gruppo di ricercatori si è accorto infatti che è stato preso da uno studio effettuato in Francia tra il 1670 e il 1830.

Picchi e cali della fertilità femminile sono determinati anche da una serie di fattori contestuali di cui non si può non tenere conto e che non sono senza tempo. Attualmente non c’è un’assoluta certezza rispetto all’età in cui la fertilità inizia a calare: secondo l’Istituto Superiore di Sanità dovrebbe esserci un primo calo a 32 anni e un altro a 37, mentre altri studiosi affermano che non esistono cali netti fino ad almeno 40 anni.

Dall’altra c’è  l’idea, che ha radici storiche molto antiche, che la femminilità coincida inevitabilmente con l’essere madre.

Da cui deriva la convinzione che nessuna donna possa sentirsi completa senza un figlio, perché l’istinto materno è ciò che definisce la nostra essenza. Non è vero. O almeno, non è vero per tutte. Ci sono donne che provano un’irrefrenabile propensione alla maternità e la chiamano, perché così siamo state abituate, “istinto materno”. Questa sensazione esiste, non è falsa di per sé. Falsa è invece l’idea che l’istinto materno sia un tratto distintivo della nostra biologia e che, di conseguenza, chi non la provi abbia qualcosa che non va o sia mancante. L’istinto materno non è un dato biologico, ma è un modo, storicamente connotato, che abbiamo trovato per nominare una determinata sensazione, caricandola poi di tutta una serie di significati stereotipati. Non c’è niente di anormale nel non desiderare di avere figli.

Non avere figli è una scelta egoista?

Oltre ai luoghi comuni di cui abbiamo appena parlato è opinione abbastanza diffusa che non avere figli sia una scelta egoista. Egoista sia in senso biologico, perché si rinuncia a svolgere il proprio ruolo all’interno della specie, manifestando disinteresse nei confronti delle generazioni future, sia in un senso individuale, perché scegliendo di non avere figli non si sperimenta mai la forma di amore considerata più completa, l’unica che ti spinge a uscire da stesso e a dare tutto in modo incondizionato.

Diciamolo subito: NO, non avere figli NON è una scelta egoista. E potremmo stare qui a elencare una serie di argomentazioni a sostegno di questa tesi. Julie Bindel, giornalista britannica femminista, in un’intervista video pubblicata prima sul Guardian e poi ripresa da Internazionale, ne ha elencate alcune. Ha osservato, ad esempio, che spesso sono proprio quelli che decidono di avere figli ad essere più egoisti e più disinteressati agli altri, perché si rinchiudono nella bolla delle proprie famiglie.

La celebre astrofisica Margherita Hack, qualche anno prima di morire, aveva invece detto che, considerando la sovrappopolazione terrestre, è molto più egoista scegliere di avere figli che non averne. La verità è che tutte queste argomentazioni lasciano il tempo che trovano e che forse sono inutili, perché rischiano di far leva su forme di stereotipi e pregiudizi simili a quelle sfoderate da chi si scaglia contro le donne che scelgono di non avere figli. Non avere figli non è una decisione egoista, è semplicemente una decisione, ciò che di più intimo e personale ci sia, e come tale deve essere rispettata e tutelata.

Source: freedamedia.it

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