Lezione di teatro numero uno. Dopo appena un minuto, l’insegnante interrompe il mio monologo, mi guarda dritto negli occhi e mi dice: “Lavinia, respira. Il respiro è vita. SE devi dare VITA a un personaggio ti consiglio di partire proprio dal respiro perché senza quello ti assicuro, nessuno ce l’hai mai fatta”. Che dire, severo ma giusto. Quello del respiro è stato uno dei tormentoni anche della mia insegnante di voce in accademia: ogni tanto, a lezione, durante gli esercizi, se vedeva qualcosa che non andava ci fermava e diceva: ragazzi, ricordatevi di respirareeeee!
Naturalmente, non è che proprio non stessimo respirando, ma dall’agitazione o dalla fretta capitava di prendere poco fiato, con il risultato di assumere una postura contratta e una parlata non particolarmente fluida. Nella recitazione e nella danza (come in altre discipline) è facile che si parli dell’importanza del respiro: di come sia espressione della nostra emotività e di come influenzi corpo e voce. Ed è facile che in una lezione si sentano frasi come: “usa il respiro” o “respira a fondo“. Questo perché porre l’attenzione sul proprio modo di respirare ha un enorme potere sui processi emotivi e sul corpo. Ce lo dice la danza, la recitazione, la meditazione – e ce lo dicono spesso anche le amiche, quando siamo in preda a un collasso emotivo. Il processo naturalmente è automatico ed è regolato dalle strutture del tronco encefalico, responsabili di funzioni vitali tra cui la respirazione. Noi però possiamo intervenire in questo processo, in termini di ritmo e velocità. E cosa cambia nel corpo quando modifichiamo intenzionalmente il nostro respiro? La risposta arriva da uno studio che ha messo in luce come la respirazione agisca su diverse parti del nostro cervello. La scienza infatti da tempo sta indagando sulla nostra capacità di alterare e controllare l’inspirazione e l’espirazione per capire perché possiamo gestire il nostro respiro, quali zone del cervello possiamo stimolare, come le attiviamo e quali effetti hanno su di noi.
Moran Cerf su Quarz ha spiegato la particolarità dello studio del ricercatore Jose Herrero in collaborazione con Ashesh Mehta, neurochirurgo al NorthShore University Hospital di Long Island. I due studiosi hanno registrato l’azione del respiro su diverse aree del cervello, osservando direttamente l’attività neuronale dall’interno.
Oltre all’interesse nell’osservare la abilità dell’uomo a controllare e regolare la propria attività neuronale volontariamente, lo studio è stato unico per il metodo di ricerca utilizzato, potendo guardare direttamente dall’interno il cervello di uomini svegli e attenti. Solitamente questo tipo di studi utilizza una serie di immagini che vengono sottoposte ai pazienti, per poi dedurre l’attività neuronale attraverso dispositivi posti sul cranio. In questo caso, invece, gli elettrodi erano impiantati nel cervello, dando la possibilità unica di studiare i processi del pensiero, dell’immaginazione o del sogno, osservandoli direttamente dall’interno. I soggetti del nostro studio erano pazienti che avevano gli elettrodi impiantati nel cervello come parte di un trattamento clinico per l’epilessia perché i loro attacchi non potevano essere trattati con una cura farmacologica.
Con questo metodo i ricercatori hanno prima osservato l’attività del cervello nel momento in cui i pazienti respiravano normalmente: poi, hanno dato loro un semplice compito da svolgere – cliccare un bottone non appena vedevano un cerchio sullo schermo del computer – per vedere cosa succedeva quando i pazienti respiravano normalmente e non erano concentrati sul proprio respiro. In ultimo, è stato chiesto loro di aumentare il numero di respiri e di contarli. Nel momento in cui il respiro cambiava, anche il cervello veniva attivato diversamente, coinvolgendo zone che interessavano sia la respirazione automatica che quella stimolata dalla respirazione intenzionale e mettendole in relazione tra loro.
I risultati della ricerca hanno mostrato come, concentrandosi sul proprio respiro, si possono sincronizzare e raggiungere diverse aree del cervello. Questo può portare alla comprensione di un nuovo modo di usare la respirazione per trarre benefici in termini di controllo emotivo, capacità di attenzione e rilassamento. Ed è facile che questa sia la spiegazione del perché ci sentiamo fisicamente e psicologicamente meglio dopo una lezione di danza, dopo aver praticato yoga o la meditazione, e tutte quelle discipline che prevedono non solo l’attività fisica ma anche l’utilizzo consapevole del proprio respiro. Quindi, il consiglio è sempre quello: come direbbe Midge Ure (e la mia insegnante di voce): breaaaaaaaaaaathe!!
Source: freedamedia.it
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