E’ bizzarro imbattersi in un articolo acchiappa-click come questo e decidere nonostante tutto di abboccare all’amo, rispondendo. Il titolo è uno slogan già di per sé, se non fosse altro per il fatto che banalmente viene in mente di accompagnare l’esimio Giornalista di fronte ad una gang di foodblogger, che a suo dire avrebbero cancellato le origini, affossato la tradizione, ucciso la narrazione del cibo privando il pubblico della sacralità della verità giornalistica; dinanzi a questa gang l’esimio si ritroverebbe di fronte, con suo stupore, a persone, più che non a foodblogger, come è uso confrontarsi nel mondo civile non per la veste professionale che si indossa, ma per quello che si è. Poi a fine serata ci si scambiano le business card come si chiamano oggi i bigliettini da visita, ma solo dopo aver fatto conoscenza. Credo. A meno che di non volersi nascondere dietro un ammennicolo di qualifica professionale per timidezza o semplicemente per orgoglio smisurato. Poi mi verrebbero in mente le parole di mio nonno, banalissime naturalmente, quando mi diceva di non giudicare le persone per etichetta, professione, provenienza, nazionalità. Di non generalizzare insomma. Ma su questa leggerezza del nonno non approfondisco per non ribadire la banalità del pensiero, che salta all’occhio leggendo queste righe. Insomma ci sono giornalisti e giornalisti, e… tadaann foodblogger e foodblogger. In America ad esempio, dove la nuova possibilità di espressione, di lavoro, di divertimento e di formazione che internet ha concesso a tutti in maniera assolutamente democratica, il foodblogger è una figura professionale riconosciuta a tutti gli effetti. Non per questo sono spariti i giornalisti in America. Il nuovo che avanza non deve spaventare il vecchio. Ma questa è più attitudine italica che ben conosciamo, laddove i nostri meravigliosi giovani fanno fatica a farsi spazio proprio per questo motivo. Sono sicura inoltre che le penne d’oro come Luigi Veronelli e Mario Soldati, i quali certamente non necessitano di alcuno che alzi la voce in loro difesa, se avessero conosciuto dei foodblogger non li avrebbero mai temuti, ma si sarebbero incuriositi del loro mondo della loro passione e attitudine alla conoscenza e alla sacralità del cibo, chiedendo magari ad una cena di sedersi vicino a loro più che non a illustri colleghi giornalisti. Se non altro perché la curiosità e non il giudizio appartiene ai grandi uomini, prima che grandi giornalisti.
Source: www.ifood.it
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