Per quanto ci sia stato un tempo in cui mi sentivo a disagio ad attraversare la città con auricolari, magliettone da rapper e pantaloni attillati dai colori fluo (che non mi donano particolarmente ma mi piacciono molto), ora è diventata un’abitudine: finito il lavoro, attorno alle 18/19 mi metto la mia “divisa” e vado a correre al parco. Con la corsa non è stato amore a prima vista: ho sempre odiato l’idea di far fatica “per niente” – non impari una tecnica, non alleni la coordinazione, corri e basta con il solo risultato di annoiarti mortalmente, che senso ha? Eppure, nel tempo, il senso l’ho trovato eccome, e mi sono unita ai tantissimi appassionati che ogni sera e ogni mattina affollano i parchi, le palestre e le strade, per correre.
Ma non è sempre stato così: c’è stato un tempo infatti, in cui la corsa fine a se stessa – e non come allenamento per qualche altra disciplina – non aveva la fortuna che conosciamo oggi. Era considerata un’attività insolita, per gente strana o motivata da ragioni specifiche (come i pugili o i militari). Fino agli anni ’60 del secolo scorso, non capitava di vedere sulle strade persone che correvano per hobby, anzi: soltanto nel 1968 cominciano a uscire articoli che affrontano il tema, su quotidiani come il New York Times o il Chicago Tribune, che raccontano quanto l’attività sia sempre più diffusa, ma percepita ancora come “una cosa folle” e “una stupida perdita di tempo”. Senza contare che nel Diciannovesimo secolo, le prime versioni dei tapis roulant – macchinari che sfruttavano il movimento di persone per produrre energia – erano usati come punizione nelle carceri. Da dove nasce, dunque, la fortuna del jogging?
Il termine jogging, deriva dall’inglese to jog (“procedere a sbalzi; avanzare lentamente”), e indica una corsa a passo medio-lento. Leggenda vuole che l’allenatore Arthur Lydiard abbia inventato questa pratica e a renderla celebre, negli anni Sessanta, sia stato l’allenatore della squadra di atletica leggera dell’Università dell’Oregon Bill Bowerman, dopo averne imparato il metodo dallo stesso Lydiard, durante un viaggio in Nuova Zelanda del 1962.
Bowerman assorbe a tal punto la lezione di Lydiard sui benefici della corsa, che nel 1966 ci scrive un libro dal titolo Jogging. Il principio portante del libro è il seguente: correre è una pratica ideale per mantenere la forma fisica, e può essere adatta a tutti. Se andiamo a sbirciare nella biografia di questo allenatore e imprenditore, scopriamo che è tra i soci di un’azienda che sull’abbigliamento da corsa ha costruito il suo impero: la Nike. L’idea delle scarpe da corsa è nata proprio dalla passione per il jogging e la necessità di scarpe più leggere, che porta Bill a ingegnarsi nel costruire suole meno pesanti di quelle tradizionali, e quindi più adatte a correre.
Per renderci conto dell’effetto inusuale e un po’ sconvolgente che facevano i primi corridori che venivano avvistati per strada, basta pensare che negli Stati Uniti alcuni di loro vennero multati per “uso improprio del marciapiede“. Ma grazie alla diffusione del libro, all’idea dell’attività aerobica come strumento efficace per restare in forma e alle pubblicità di aziende di abbigliamento dagli anni Settanta in poi, correre diventa un’abitudine sempre più comune. Arrivano altri libri, guide, e soprattutto tanti film che raccontano come la corsa aiuti non solo il nostro corpo ma anche la mente.
Non importa se otteniamo dei risultati o meno, se facciamo bella figura o no in fin dei conti l’essenziale, per la maggior parte di noi, è qualcosa che non si vede, ma si percepisce nel cuore.
Un grande fan del jogging è lo scrittore Haruki Murakami, che alla sua passione per la corsa ha dedicato il libro L’arte di correre. Ma ce ne sono tantissimi di esempi di quanto correre sia stato d’ispirazione per molte persone; e a questo proposito, non posso non pensare allo spot sul jogging, creato dal personaggio di Mel Gibson in What Woman Want, trafugando le idee della collega Darcy McGuire/Helen Hunt.
Voi non vi fermate davanti allo specchio, prima di fare jogging, a chiedervi cosa ne penserà la strada della vostra tuta.
Non siete obbligate ad ascoltare barzellette fingendo di divertirvi.
E non è che con un abbigliamento più sexy correre sarebbe meno faticoso.
La strada non ci fa caso se vi siete messe il rossetto,
Non le importa di quanti anni avete,
Non vi dovete sentire in imbarazzo, perché guadagnate più del vostro lui.
Con la strada potete dialogare, quanto vi pare e piace.
Perché la strada è un po’ come una vecchia amica, non se la prende se la trascurate un tantino.
L’unica cosa che le importa davvero, è che il jogging lo facciate sul serio.
Nike, niente giochi, solo sport.
Al di là dell’abbigliamento e della pubblicità, è pur vero che “l’arte di correre” è diventata qualcosa di più che un semplice hobby: è un’occasione per sviluppare una relazione con se stessi, coltivando una solitudine e un’intimità sempre più rare da trovare nel nostro quotidiano. Credo che fosse questa la cosa che più mi spaventava della corsa: più della fatica fisica, era il pensiero di non sapere a cosa pensare, il fatto che non riuscivo a capire dove avrei dovuto mettere l’attenzione. In un mondo che ci vuole costantemente focalizzati sui nostri desideri o sulle nostre paure, impegnati sempre a ottenere un risultato da tutto quello che facciamo, un’attività del genere, così “gratuita”, diventa quasi dissacrante. E proprio per questo, fondamentale. Sia chiaro; ognuno può trovare questo rapporto in molte altre attività fisiche; ma credo che nella sua semplicità, la corsa sia davvero una sfida alla portata di tutti.
Source: freedamedia.it
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