Ho sempre avuto la fissazione per i capelli. Non tanto per le acconciature o le tinte dai colori strani – in vita mia, il taglio più audace che ho mai provato è il caschetto e per tingerli uso solo l’henné – quanto più per il loro valore sociale e politico.
I capelli di Sansone erano il simbolo della sua forza, la testa rasata per monaci e sacerdoti era invece un segno di sottomissione: tra realtà e finzione letteraria, la relazione tra capelli e potere è antichissima e continua ancora oggi a raccontare il legame tra le persone e la società in cui vivono. Ma se per gli uomini alcune usanze rispetto a come acconciare i capelli – o se portare o meno il cappello – sono state più una questione di etichetta, per le donne è stata una vera e propria imposizione: già nella Bibbia (come in altri testi religiosi) ci sono riferimenti riguardo la necessità per le donne di coprirsi il capo con un velo – necessità che è riemersa negli anni ’20 del secolo scorso, quando non indossare il cappello per una donna dell’alta società, era motivo di scandalo.
E proprio di questo particolare divieto parla la poetessa spagnola Concepción Méndez Cuesta, conosciuta come Concha Mendez, nelle sue memorie, dove ha raccontato la difficoltà che aveva nell’uscire di casa con la testa scoperta. La madre, per provocarla, le diceva che se fosse andata in giro senza cappello le persone avrebbero potuto lanciarle pietre addosso; lei, di tutta risposta, affermava che se l’avessero fatto, avrebbe raccolto le pietre per farne un monumento a se stessa.
Orgoglio, coraggio e molti pregiudizi; la diatriba nata da un argomento apparentemente innocuo – il fatto di mostrare o nascondere i propri capelli – nasconde in realtà molto di più che una semplice questione estetica: non soltanto un segno di vanità, ma vero e proprio simbolo di potere, un potere maschile esercitato sul corpo delle donne. Ora, sempre secondo quanto riportato nelle sue memorie, la giovane poetessa era consapevole del fatto che la madre stesse esagerando, ma così facendo faceva passare chiaramente il concetto che al tempo una donna dell’alta società doveva indossare il cappello e coprire il capo.
Concha però non la vede allo stesso modo e si unisce a un gruppo di artiste indipendenti e libere chiamate Las Sinsombreros, ovvero “Donne senza cappello“. Assieme lei, anche la pittrice Maruja Mallo si rifiuta di indossare il cappello, e, quando si unisce al gruppo, dichiara che se avessero dovuto indossare i cappelli, li avrebbero fatti indossare al posto loro, a dei palloncini: se qualcuno le avesse fermate porgendo un cappello per coprirsi, avrebbero tenuto un palloncino in mano in modo da farlo indossare a lui.
Secondo Nagore Sedano dell’Università dell’Oregon, questo era soltanto un esempio di quanto i corpi delle donne fossero controllati e regolati. E il passaggio dalla dimensione privata a quella pubblica era quello di indossare un cappello. Ovviamente, non per le Las Sinsombreros. Maruja Mallo e Concha Mendez – protagoniste della scena artistica del loro tempo – hanno osato pensarsi in maniera diversa e combattere una certa immagine arretrata e conformista della donna: se la società diceva loro di coprirsi, loro rispondevano con un deciso NO. Le due artiste, e amiche, avevano scelto di rompere la tradizione, attraverso l’atto, apparentemente banale, ma in realtà assolutamente trasgressivo, di non coprirsi la testa. Come direbbe oggi Solange: don’t touch my hair.
Source: freedamedia.it
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