di Carlo Patrizio *
Nella letteratura scientifica per rigenerazione urbana si intende una “policy integrata e intersettoriale, promossa da un soggetto pubblico, in partnership con soggetti privati, finalizzata al recupero complessivo, duraturo e olistico di un’area urbana degradata nelle sue componenti fisico-ambientali, economiche e sociali”. Intesa in questi termini, la rigenerazione è uno strumento innovativo che non andrebbe confuso neanche con quell’azione sistematica di puntuale sostituzione edilizia che le recenti leggi regionali dell’Emilia Romagna e del Lazio pure consentono di fare, sebbene ciò permetta di migliorare la qualità energetica e la sicurezza sismica generale delle nostre città. La rigenerazione non è neanche questo.
I Piani integrati di rigenerazione urbana sarebbero potuti invece diventare uno strumento efficace e nuovo proprio in luogo dei più modesti piani della ricostruzione che abbiamo già visto all’opera nel sisma del 2009 e che, infatti, non sono ancora stati in grado di riportare la vita nel centro storico de L’Aquila. Proprio un intervento di questo tipo è il tema di una sperimentazione in corso nella facoltà di Ingegneria dell’università “La Sapienza”, presso la sede esterna di Rieti, dove si sta svolgendo una tesi di laurea magistrale sulla rigenerazione del borgo di Illica, frazione del comune di Accumoli.
In accordo con la parte migliore della legge regionale del Lazio n. 7/2017, si sta studiando un piano di interventi alternativo alla più banale fissazione di regole in base alle quali distribuire i finanziamenti ai privati per la ricostruzione puntuale dei loro singoli edifici. Non fredde regole, ma visioni condivise: questo dovrebbe promuovere l’ente locale. Allo scopo è stata individuata la cosiddetta struttura di piano, un quadro strategico, organico e integrato che nel caso di Illica ha identificato due obiettivi generali (la ricostruzione identitaria dei luoghi e della comunità e la promozione del sistema economico locale) e cinque specifici (ricostruzione del tessuto edilizio, ricostruzione del tessuto sociale, valorizzazione integrata del patrimonio culturale diffuso, promozione del settore agro-silvo-pastorale, promozione del settore turistico ricettivo), per il cui raggiungimento il progetto si articola nelle corrispondenti azioni e ancora più in dettaglio, nei relativi interventi.
Nel quadro complessivo individuato, l’intervento di ricostruzione delle singole unità immobiliari, studiato con tecnologie performanti sia sul piano della sicurezza sismica che della qualità ambientale (pacchetti murari in legno strutturale con la possibilità di uno strato esterno in blocchi di pietra a vista), assume il carattere di “intervento pivot”, cioè di intervento centrale per la rigenerazione del borgo, come è ovvio che sia in un contesto colpito da calamità naturali. La prefigurazione di un sistema di azioni strategiche per lo sviluppo autosostenibile nel medio/lungo periodo delle aree colpite dal sisma, non impedisce infatti di occuparsi di quello che è sicuramente l’obiettivo prioritario, cioè la ricostruzione del tessuto edilizio, solo che lo si fa all’interno di un quadro progettuale che consenta di affrontare anche questioni che sono persino pregresse al sisma, come ad esempio il progressivo spopolamento o la scarsa attrattività di quei luoghi, e in una dimensione sovracomunale.
Gli interventi edilizi, nel modello proposto, vengono coordinati dallo stesso Comune tramite i Print (programmi integrati di intervento ex legge regionale n. 22/97, in accordo con la n. 7/2017 sulla rigenerazione urbana), ai quali i privati partecipano con le particelle catastali di loro proprietà e il Comune con le stesse risorse pubbliche oggi messe a disposizione dei singoli per la ricostruzione.
Le operazioni fin qui descritte sono a saldo zero con il quadro normativo di emergenza oggi in vigore, in quanto le risorse messe a disposizione dei Comuni dal governo per la redazione dei piani attuativi (così denominati dall’ordinanza n. 25/2017) potrebbero essere spostate a copertura dei costi per i Print. Le risorse necessarie alla promozione e alla valorizzazione territoriale potrebbero essere invece rinvenute nei non pochi programmi di sostegno regionali rivolti alle aziende private.
Il modello proposto andrebbe sicuramente messo a punto, ma ha indubbiamente il pregio di fondarsi su una legislazione ordinaria, di avere i Comuni come titolari dell’iniziativa di indirizzo dello sviluppo, semmai coordinati dalle singole Regioni, e infine di evitare il rischio di investimenti nella pura e semplice ricostruzione di aree urbane che un minuto dopo essere state riabilitate, tornerebbero ad avere le stesse problematiche socioeconomiche di sempre, per essere probabilmente comunque abbandonate. Il modello studiato avrebbe infine il merito di non accontentarsi della distribuzione a pioggia di risorse pubbliche, ma di coordinarle e orientarle verso un comune obiettivo di sviluppo. In questo modo Illica si prenderebbe realmente cura del proprio futuro, diventando più sicura e al tempo stesso ri-generandosi.
* prof. a c. di “Progetti integrati e sostenibilità del territorio” – “La Sapienza” di Roma
Source: lanuovaecologia.it
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