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Poly Styrene, l’archetipo della femminista punk moderna

Per la rivista Billboard, Poly Styrene era “l’archetipo della femminista punk moderna” e “una dei cantanti meno convenzionali della storia del rock, sia uomini che donne”. Per sua figlia Celeste, invece, era la madre che le diceva di non diventare mai una performer, perché l’industria dello spettacolo è tossica per le donne.

È lei stessa a parlarne in un bel pezzo uscito per il Telegraph dal titolo “Mia madre, la pioniera del punk”. E Poly lo era per davvero, una pioniera.

Nata Marianne Joan Elliott-Said nel 1957, ha una formazione operistica, ma decide di fondare una punk band a 19 anni, dopo aver assistito a una delle prime esibizioni dei Sex Pistols, ancora sconosciuti. D’altra parte, Mari ha sempre avuto un’indole ribelle. A 15 anni se ne va di casa con sole 3 sterline in tasca, dorme negli squat hippie e si sposta da un festival musicale all’altro in autostop. A fermarla è un incidente con un chiodo, che la costringe a ricoverarsi per curare la setticemia. In questa occasione le viene anche fatta una prima diagnosi di schizofrenia, che verrà poi ritrattata in disturbo bipolare.

Siamo nel 1976 e nasce la prima formazione degli X-Ray Spex,  di cui Mari è la cantante, la paroliera e il volto. Il nome Poly Styrene lo prende quasi per caso dalle Pagine Gialle, in cerca di qualcosa che evochi l’idea di una modernità di plastica. Da subito, Poly si pone controcorrente rispetto all’industria musicale e alla società intera. Non soltanto perché fa punk, ma soprattutto perché lo fa rifiutando il ruolo classico della front girl sessualizzata, in voga tanto negli anni ’70 quanto oggi. Poly è di etnia mista (somala e scozzese), rotondetta, porta l’apparecchio, indossa abiti superfluo e non ammicca dal palco o dai servizi fotografici. Ha anche, soprattutto, “una voce abbastanza potente da bucare una lastra di metallo” e un gran talento per i testi, che valgono all’album di debutto Germfree Adolescents il plauso della critica (la rivista NME lo include al nono posto dei migliori album del 1979) e il successo di pubblico. Poly rimane selvatica, fuori controllo, al punto che, secondo il bassista Jah Wobble, lo stesso Johnny Rotten ne era mezzo terrorizzato. Non so voi, ma se io riuscissi a far paura a Johnny Rotten, me la tirerei per sempre.

La prima formazione degli X-Ray Spex si scioglie nel 1979, dopo un lungo tour che lascia Poly totalmente esausta. Fortunatamente, però, la sua carriera da solista continuerà con album come Translucence (1980), che anticipa le sonorità vagamente jazz di alcuni gruppi degli anni ’90, e Flower Aeroplane (2004), che esplora invece il new age. Gli X-Ray Spex però non sono sepolti, al contrario, e la formazione originale si ricompone in numerose occasioni, la prima nel 1991.

Nonostante Poly sopravviva alle mode e continui a produrre musica sempre diversa e avanti sui tempi, si sente messa da parte dall’industria e deve lottare per essere presa sul serio, sia perché giovane e donna, sia perché appartenente alla classe lavoratrice non istruita inglese. Nonostante il suo amore per la musica, il rimpianto per non aver proseguito gli studi la seguirà sempre. Muore nel 2011, a 54 anni, per un cancro al seno.

L’estro maschile, si sa, è celebrato, quello femminile non sempre, e per questo Poly ha avuto meno riconoscimenti di quelli che avrebbe meritato. Ciononostante, ha continuato a creare per tutta la vita, sostenuta dall’affetto dei numerosissimi fan di cui anche Celeste si dice sorpresa e onorata. Proprio per questo, e per onorare la madre, Celeste sta raccogliendo i fondi per girare un film su di lei.

Poly ha convissuto con una malattia mentale ed è stata dimenticata dall’industria per gran parte della sua carriera, eppure lei descriveva se stessa non come un genio incompreso, ma come “un’osservatrice, non un’artista tormentata che scrive di esperienze drammatiche”, una che “gioca con le parole e le idee, che si fa una risata su tutto”. È questo che l’ha resa unica.

 

Source: freedamedia.it

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