Quella di Spotify è la quotazione più attesa dell’anno nel settore tecnologico. Non solo per le cifre in ballo e la notorietà della società. Ma anche per le modalità scelte dalla piattaforma di musica in streaming, che arriverà in Borsa con una “quotazione diretta” e non con una tradizionale Ipo.
Utenti e fatturato
Il battesimo di Spotify è previsto il 3 aprile sul Nyse. Dal documento inviato alla Sec (la Consob americana), si possono innanzitutto raccogliere un po’ di informazioni. La piattaforma ha 159 utenti mensili attivi (cresciuti del 29% nel 2017) e 71 milioni di abbonati paganti. L’aumento, in questo caso, è ancora più marcato: +46%. Spotify ha sottolineato di avere “circa il doppio” degli utenti (stimati) del principale concorrente, Apple Music. Cui il ceo Daniel Ek ha riservato un’altra frecciata: “Noi non facciamo hardware, siamo focalizzati sulla musica”.
Ek è forte di una quota di mercato stimata del 42%. Il 2017 si è chiuso con un fatturato di 4,1 miliardi di euro, raddoppiato rispetto a due anni prima. Sono cresciute, però, anche le perdite (da 230 milioni a 1,2 miliardi). Spotify non sembra preoccuparsene troppo: ha affermato che la priorità è la crescita, non la profittabilità.
Ma quanto vale Spotify?
Rispondere alla domanda è complicato. Sia perché non essendo ancora in Borsa non ha ancora una capitalizzazione certa. Sia perchè la scelta di una quotazione diretta non fissa un prezzo di partenza delle azioni. Ci sono però delle indicazioni presenti nel prospetto. Tra il primo gennaio e il 22 febbraio, le azioni sono state scambiate (privatamente) a un prezzo compreso tra i 90 e i 132 dollari. Moltiplicando per il numero di azioni, la valutazione sarebbe quindi tra i 15,9 e i 23,4 miliardi di dollari. Potrebbe, perchè non ci sarà alcun prezzo proposto al mercato. Saranno gli scambi a decidere. Con la possibilità di rimanere entro questo intervallo, ma anche di andare oltre o al di sotto.
Quest’ampia oscillazione deriva proprio dalla scelta della quotazione diretta. In sostanza, Spotify non si affida alle banche per promuovere l’Ipo, fissare un prezzo, controllare la volatilità tramite sottoscrizioni e imbrigliarla con alcune restrizioni di vendita. Semplicemente, chi avrà il 3 aprile azioni della società si presenterà in Borsa e potrà venderle.
Spotify, infatti, non prevede l’emissione di nuove azioni. Una scelta che si può permettersi perchè possiede sufficiente liquidità e niente debiti. La quotazione diretta permette di abbattere i costi e di snellire le procedure: non ci sono i classici “roadshow”, cioè gli incontri cui si illustrano dati e futuro della società a una platea di potenziali investitori. L’unica cosa che somigli vagamente a un roadshow c’è stata il 15 marzo, con una conferenza in streaming durata un’ora. L’obiettivo di questo snellimento è aprire a chiunque voglia comprare, senza primazia per gli investitori istituzionali.
I possibili rischi
Scegliendo la quotazione diretta, Spotify scommette sul proprio nome: il fatto che sia una società molto nota non è un dato secondario per chi deve affrontare direttamente il mercato. I rischi però non mancano, anche perchè non ci sono precedenti di direct listing per una società di queste dimensioni. Senza sottoscrittori, Spotify non ha paracadute: non c’è nessuno che possa sostenere il titolo in caso di istantanea difficoltà. La volatilità potrebbe essere ancora più accentuata perchè non ci sarà alcun “lockup”: non c’è un periodo di “cattività” in cui è vietata la vendita di azioni per chi già le possiede. E se i fondatori o i dipendenti potrebbero non avere interesse a fare cassa (con la controindicazione di diminuire il valore della società in cui lavorano), gli investitori della prima ora potrebbero monetizzare subito. Il settore tecnologico, che dalla Borsa ha spesso avuto delusioni ed è alla ricerca di soluzioni alternative alle Ipo, guarda con interesse Spotify. A puntare gli occhi sull’operazioni sono soprattutto i prossimi “quotabili” AirBnB e Uber.
Source: www.agi.it