L’elezione di Donald Trump è stata vista come una benedizione per tutti i cultori del secondo emendamento della Costituzione americana – quello che garantisce il diritto di possedere armi – ma paradossalmente sta facendo ‘soffrire’ l’industria che quelle armi le produce.
La Sturm Ruger & Company Inc., fornitrice di pistole, fucili e revolver, ha ammesso lo scorso 23 febbraio in un’analisi pubblica dei suoi conti che le vendite erano andate molto bene fino a novembre 2016, con un balzo dei ricavi a 664,3 milioni di dollari rispetto ai 551,1 nel 2015. Ma già a dicembre, ha sottolineato il presidente e ad Chris Killoy, le cose sono cambiate e si è registrata una flessione del 17% nei controlli del Fbi (passaggio obbligato per acquistare armi), che ha toccato il -24% a gennaio di quest’anno.
Dati alla mano, a novembre “avevamo osservato molti consumatori spendere in fondine e fucili semi-automatici nelle settimane e mesi precedenti al voto”. Tuttavia, la riduzione del numero di controlli da parte delle autorità è un segnale che “le richieste dei consumatori per certi tipi di armi si sono attenuate rispetto all’anno scorso”.
Questa correlazione tra presidenti pro-armi e diminuzione delle vendite (e viceversa), a prima vista di difficile comprensione, è invece molto semplice e lineare: la presenza alla Casa Bianca di un inquilino che non minaccia leggi restrittive, come faceva per esempio Barack Obama (e si temeva avrebbe fatto la Clinton in caso di vittoria), fa sentre più sicuri gli americani della facilità di acquistare armi, rendendo inutile la corsa al riarmo, tipica del dopo-stragi, quando la politica a Washington, sull’onda dell’emozione, tenta di correre ai ripari.
Si spiegano così, le impennate di acquisti registrate dopo il massacro nella scuola elementare di Sandy Hook nel dicembre 2012 (27 morti tra cui 20 bambini di 6-7 anni) e di nuovo nei giorni successivi alla strage di San Bernardino (14 vittime) nel dicembre 2015.
Il calo recente non colpisce solo i produttori ma anche i rivenditori di armi che, prima del voto, convinti della probabile vittoria della democratica Hillary Clinton e della conseguente stretta sulle armi, avevano fatto scorta di pistole e fucili, ora inveduti sugli scaffali.
Come ha sottolineato la Sportsman’s Warehouse Holdings Inc., nel terzo trimestre del 2016, concluso alla fine di ottobre, si è visto “un incremento della domanda di armi da fuoco e munizioni in parte a causa della percezione pubblica della possibile promulgazione di una legislazione federale o statale che ne avrebbe reso più difficile l’acquisto” successivamente. Uno scenario che poi non si è avverato.
Tra gli articoli più richiesti prima dell’8 novembre c’erano proprio i fucili semiautomatici “che probabilmente avrebbero registrato una richiesta più consistente se le elezioni fossero andate diversamente, data la loro relativa vulnerabilità alle azioni legislative”, ha indicato Killoy. Proprio questi infatti solo nel mirino di chi vorrebbe una diminuzione delle armi in circolazione, perché facili da usare ed estremamente letali.
Nelle principali stragi che hanno funestato gli Stati Uniti negli ultimi anni c’è infatti un particolare ricorrente: l’uso da parte degli assalitori del fucile d’assalto semiautomatico AR-15 Bushmaster, la versione civile dell’M-16, tra le armi più vendute nel Paese. Come ricorda Quotidiano.net, quest’arma non può sparare sia il colpo singolo che la raffica continua, ma può essere modificato per sparare come un mitra fino all’esaurimento di un caricatore, da un minimo di 5 ad un massimo di 100 colpi.
Dalla recente strage di San Bernardino in California al massacro nella scuola elementare Sandy Hook in Connecticut fino alla sparatoria nel cinema Aurora in Colorado alla prima di “Batman, il cavaliere oscuro”, l’Ar-15 Bushmaster è sempre stato al centro della scena.
In un articolo del giugno 2016, il New York Times riportava stime, basate sull’analisi dei controlli federali sugli acquirenti di armi, che mostravano come il picco nelle vendite (2 milioni di pezzi venduti al mese) si sia registrato alla fine del 2012 in coincidenza con la rielezione di Barack Obama e la sparatoria tra gli alunni in Connecticut. Un nuovo boom si è avuto tre anni più tardi (1,5 milioni) dopo la strage di San Bernardino e l’appello dell’allora presidente democratico a una restrizione nella vendita dei fucili d’assalto.
La stessa dinamica è avvenuta nei giorni immediatamente successivi la strage nel night club di Orlando, tra l’11 e il 12 giugno 2016: l’indomani, riportò la Nbc News, i rivenditori di armi si aspettavano affari d’oro.
Come disse allora Brian W. Ruttenbur, analista alla BB&T Capital Markets, “il presidente Obama è stato il miglior venditore per le armi da fuoco”. Un concetto ribadito più di recente da Bob Evans, esperto alla Pennington Capital Management, convinto che “per l’industria delle armi non c’è mai stata una migliore amministrazione di quella di Obama, e adesso una peggiore di quella di Trump“.
Source: agi.it/estero
Dozens of people have died after a passenger plane crashed with about 70 people on board in Kazakhstan, local officials…
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