Come vi vestite per andare in ufficio?
Pantalone nero e camicia o con lo stesso abito che indossate abitualmente per uscire il sabato sera?
Lo avrete notato, per la nostra generazione non esiste il concetto di abiti da ufficio. Il dress code da ufficio è morto e ha lasciato spazio all’esaltazione dello stile personale. Ma com’è successo? Perché il nostro armadio non è pieno di completi giacca e pantalone?
Crescendo mi è stato insegnato che ci sono occasioni speciali che richiedono una maggiore attenzione nella scelta del proprio outfit: la messa (perché anche Dio -a quanto pare- è un fan della moda), i matrimoni, la laurea, il colloquio e il primo giorno di lavoro. Sono quei momenti in cui il nostro IO incontra il giudizio della società, sono quei momenti in cui ci viene richiesto di fare colpo e giocarci tutte le carte che abbiamo.
Ha senso: vogliamo impressionare il nostro nuovo datore di lavoro, quindi vogliamo apparire al nostro meglio. Apparire al nostro meglio, ma esattamente cosa significa nel 2017?
Ci sono state occasioni dove il vestirmi formalmente elegante mi ha fatto sentire come l’elefante in mezzo alla cristalleria. Un elefante enorme. In uno dei miei primi lavori mi era stata affidata la copertura social di una sfilata. Ho scelto di vestirmi elegante, il che per me (all’epoca e secondo il budget a mia disposizione) significava indossare abito e tacchi. Non mi mai sentita così fuori posto come quella volta. Tutti avevano un look decisamente più rilassato del mio, la maggior degli addetti ai lavori era in jeans. Disgraziati. Mi sono sentita tradita: per anni mi avete fatto credere che le sfilate erano un luogo per privilegiati, per gente altezzosa capace di correre sui tacchi, lavorare in camicia 100% seta, accavallare le gambe e discutere della rilevanza di un orlo di una gonna cucito a mano. Era tutta una menzogna, l’eleganza che avevo in mente io era roba vecchia. Non ero elegante, ero ridicola. Quella è stata la volta che ho deciso che al posto delle zeppe avrei comprato delle sneakers.
Nel corso dei decenni l’abbigliamento da ufficio ha giocato un ruolo importante nel proteggere le donne dai pregiudizi dell’ambiente lavorativo. L’ufficio, ce l’hanno insegnato serie come Mad Man, The Good Wife, Parks and Recreation e Scandal, è spesso il luogo dove una donna deve mascherarsi, ispessirsi, per ottenere il rispetto dei colleghi maschi e per poter ambire a un ruolo di prestigio.
Dall’ipersessualizzazione del corpo femminile degli anni ‘50, abbiamo attraversato gli anni della ribellione sessuale reclamando il nostro diritto ai pantaloni -Yves Saint Laurent ci ha regalato anche lo smoking- fino ad arrivare agli anni ‘80 e al concetto di power suits ovvero il famoso completo giacca pantalone caratterizzato da una silhouette maschile. Power suits, un completo che dona potere alla donna che lo indossa proprio perché la rende più simile agli uomini: indossare la stessa uniforme significa riconoscersi come esseri alla pari.
Per i millennials non esiste proprio il concetto di casual friday. Per la mia generazione non esiste la divisione tra armadio da ufficio e armadio da tempo libero, il che significa che nella nostra visione delle cose -una visione ottimistica e per cui si combatte ancora- le donne non devono richiamare potere attraverso il power suits, ce l’hanno e basta.
Questa tendenza a vestirsi non per il luogo di lavoro ma per noi stessi deriva anche dal fatto che sono cambiate le modalità di lavoro: Forbes dichiara che il 45% dei millennials sceglie proprio di lavorare come freelance, decidendo liberamente dove lavorare, quanto lavorare e soprattutto con quali vestiti addosso, senza contare che la tecnologia ha cambiato il modo in cui lavoriamo, le riunioni sono state facilmente sostituite da scambi di mail o chiamate. Inoltre, è morto il concetto di giornata lavorativa standard: l’etichetta per cui i millennials sono pigri e fannulloni è totalmente falsa: secondo alcune ricerche infatti i millennials si identificano nel termine workaholics, ovvero malati di lavoro. Capita quindi che si lavori più delle ore prestabilite e che si passi direttamente dall’ufficio all’aperitivo senza passare dall’armadio.
Ovviamente dipende ancora molto dall’ambiente di lavoro e dalla linea aziendale:
ci sono aziende che richiedono un abbigliamento molto formale composto da completo giacca e pantalone rigorosamente blu, ci sono uffici dove è sconsigliato di indossare sneakers e jeans in determinati periodi dell’anno e altri posti -per esempio in alcune aziende di moda- dove i dipendenti vengono incoraggiati a mettere in mostra il loro stile personale e a indossare capi del brand. C’è da dire che anche l’athleisure, ovvero quel trend per cui capi disegnati per essere indossati in palestra, durante lo yoga o il running vengono indossati anche per occasioni più glamour, ci ha dato un bella mano. Solo 10 anni fa era impensabile andare in ufficio con scarpe da tennis e ciabatte, invece oggi eccoci qui a pretendere la nostra comodità.
In generale credo che la cultura aziendale sia cambiata: sempre più spesso i datori di lavoro desiderano scoprire la personalità delle persona che assumono perché è quella a portare valore all’azienda stessa. Non posso fare a meno di pensare proprio alla parabola di Peggy Olson di Mad Men: passata dall’essere la segretaria -anche un po’ sfigata- a junior copy-writer fino, a diventare una giovane e brillante donna in carriera con un ufficio tutto suo dove poter fumare senza chiedere scusa. Nell’ultima puntata della serie, Peggy dà l’addio agli abiti casti e alle insicurezze e si lancia in una nuova esperienza lavorativa con uno stile tutto nuovo e con quel sano piglio da “Non me ne frega niente di quello che i miei colleghi uomini penseranno di me”
Source: freedamedia.it
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