Nel 1992 avevo 6 anni, è quasi scontato che il mio film preferito fosse La Bella e la Bestia, no? I miei genitori giurano di avermi portata a vedere anche La Sirenetta, io non lo ricordo (a discolpa mia e del film, nel 1989 ero una patata semi-senziente), ma l’impressione che mi fece La Bella e la Bestia posso richiamarla cristallina ancora oggi: attonita, assoluta meraviglia. In parte perché – andiamo – certe scene erano esteticamente pazzesche, il ballo su tutte (la gonna del vestito che si gonfia! gli affreschi sul soffitto!). In parte perché Belle è stata un po’ la nostra Elsa, un elemento inaspettato, di rottura. Ora che ci penso, ero in fissa con Belle quanto la mia nipotina lo è ora con Elsa. Solo che io sono ancora in fissa con Belle, e non contenta lo sono pure con Elsa. Quando l’executive Andy Mooney ha proposto Disney a lanciare il marchio commerciale delle Principesse, nel Duemila, avrà immaginato che parte del loro target sarebbero state le donne adulte e i loro amici gay? Mmmh.
Cosa mi colpì tanto di Belle? Che era una lettrice, innanzi tutto. Quand’ero piccola mia nonna mi diceva di non leggere che mi veniva il mal di testa, quindi vedere un’asociale che sbuffava quando le suonavano al citofono steampunk perché la disturbavano mentre leggeva era la cosa migliore ever. Poi era ostinata, anche avventata, non si faceva problemi a partire a cavallo nella notte per cercare il padre – e con solo un inutile mantello sulle spalle, per giunta! C’era la faccenda del matrimonio, che era notevole. Gaston, l’archetipo del maschio alfa, non le piaceva, e il fatto che lui desse per scontato che lei volesse sposarlo la mandava in bestia (no pun intended). Il chiodo fisso del matrimonio viene piantato nelle bambine fin dalla tenera età e che Belle cantasse “eh no, non io, lo garantisco!” era punk, ragazzi. Poi certo, si innamora e presumibilmente un giorno si sposerà, ma non c’è niente di male in questo, no? Il film ti dice che hai diritto a voler vivere di avventure, tutto qui. E che non devi per forza accasarti col primo campione di gare di sputi che te lo chiede, magari.
Non è che non capisca perché alcune colleghe parlino di Sindrome di Stoccolma, quando si cita La Bella e la Bestia. È una riflessione, quella sulla salubrità dei modelli di relazione proposti alle bambine, che è giusto e doveroso fare. Mi preoccupa molto vedere le adolescenti appassionarsi alla relazione dai tratti abusivi tra la fragile Tessa e il collerico Hardin nei libri della serie After, di Anna Todd. Trovo anche intelligente e moderna la scelta di dare più forza al background del personaggio di Belle nel live action con Emma Watson, dal 16 marzo nelle sale. Non me la sento, tuttavia, di definire quello tra Belle e la Bestia un rapporto abusivo. È vero, lei si offre volontaria come prigioniera, in cambio della libertà per il padre malato. Questo è l’elemento mutuato dalla fiaba, la cui versione più popolare è quella francese del 1771. Nei fatti, però, Belle non vive mai una situazione di sottomissione. Non asseconda – anzi, contesta – le imposizioni, e a parte quello di restare nel castello (previsto dal patto) non rispetta nessun obbligo. La notte stessa del suo arrivo, infatti, sta già curiosando nell’unica stanza che le era stata proibita (go girl!) e appena la Bestia si arrabbia e la fa sentire in pericolo, scappa. Il motivo per cui torna non è che a metà strada la coglie l’illuminazione di riprovarci perché forse, magari, lui è anche gentile, ma perché non se la sente di lasciare a dissanguarsi nella neve un essere vivente che si è appena ferito gravemente per aiutarla. Questa è l’unica volta in cui vedremo Belle tornare sui suoi passi. È anche ultima volta che vedremo Bestia essere aggressivo. Li vedremo, al contrario, avvicinarsi e adattarsi uno all’altra reciprocamente, in un modo che – al netto del pretesto della trama – è più simile a quello di due persone che imparano a comprendersi tra loro che non a quello di un’ignara vittima e del suo carnefice. Non c’è alcun ciclo dell’abuso. Belle non si impunta a cambiare la Bestia, è la Bestia che si sforza di cambiare sé stessa grazie a lei. Una delle abitudini più ignobili dell’abusivo è annichilire le passioni, i sentimenti, i talenti della vittima. L’amore di Belle per la lettura veniva deriso da Gaston, vi ricordate? “Non è giusto che una donna legga, le vengono in mente strane idee e comincia a pensare”. Bestia le regala la sua intera biblioteca ed è un sacco felice di farlo, in tutta quella scena ha un sorrisone genuino a diecimila denti.
Rendere romantico l’abuso è pericolosissimo, le insidie narrative sono tante e dobbiamo vigilare. Ma prendere troppo alla lettera una fiaba e negare in toto che qualcuno possa migliorarsi per amore non è un po’…non so, triste? Se volete la mia opinione, dopo la fine del film Belle e Adam sono partiti per un lungo viaggio intorno al mondo. Forse non sono ancora tornati.
Source: freedamedia.it
L'informazione della testata giornalistica di LA7 diretta da Enrico Mentana