Ci sono stati anni in cui andavo al cinema quasi tutti i giorni e magari due volte al giorno, ed erano gli anni tra diciamo il Trentasei e la guerra, l’epoca insomma della mia adolescenza. Anni in cui il cinema è stato per me il mondo. Un altro mondo da quello che mi circondava, ma per me solo ciò che vedevo sullo schermo possedeva le proprietà d’un mondo, la pienezza, la necessità, la coerenza, mentre fuori dello schermo s’ammucchiavano elementi eterogenei che sembravano messi insieme per caso, i materiali della mia vita che mi parevano privi di qualsiasi forma. (…) Il cinema come evasione, si è detto tante volte, con una formula che vuol essere di condanna, e certo a me il cinema allora serviva a quello, a soddisfare un bisogno di spaesamento, di proiezione della mia attenzione in uno spazio diverso, un bisogno che credo corrisponda a una funzione primaria dell’inserimento nel mondo, una tappa indispensabile d’ogni formazione. Certo per crearsi uno spazio diverso ci sono anche altri modi, più sostanziosi e personali: il cinema era il modo più facile e a portata di mano, ma anche quello che istantaneamente mi portava più lontano.
Queste le parole di Italo Calvino nella sua Autobiografia di uno spettatore, che ho letto come introduzione al libro Fare un film, di Federico Fellini. Scorrendo di nuovo questo testo (che mi è capitato tra le mani di recente) mi sono ritrovata in ogni passaggio, pur avendo vissuto l’esperienza del cinema in tutto’altro periodo storico, e mi è venuto subito da chiedermi cosa sia cambiato, oggi, nel nostro modo di vivere il cinema. Bè, sappiamo come si è evoluta l’industria dell’intrattenimento e, di sicuro, i film proiettati nelle sale cinematografiche non hanno più l’esclusiva nell’offrire quella forma di evasione che “istantaneamente porta più lontano”.
Per quelli della mia generazione – nati cioè alla fine degli anni ’80 – il cinema era ancora il veicolo principale di quell’altro mondo di cui parla Calvino: un luogo incantato dell’immaginazione, un rifugio che non ti isola ma ti trasporta in un altro spazio-tempo per godere di film che raccontano una dimensione fantasiosa e parallela alla nostra, dove può accadere di tutto (per Hitchcock, i film erano “la vita a cui sono state tagliate le parti noiose”). Il cinema è una macchina che ti rapisce per un lasso di tempo che scorre senza accorgersene, e che ti risputa fuori nella realtà con la mente trasfigurata. Questo, per lo meno, è quello che mi succede ogni volta che entro in una sala per vedere un film, da quando ero bambina fino a oggi: è un evento che mi emoziona, un momento di spaesamento e stordimento collettivo generato da un rito che inizia (come i riti migliori) con lo spegnersi delle luci:
Ero entrato in piena luce e ritrovavo fuori il buio, le vie illuminate che prolungavano il bianco-e-nero dello schermo. Il buio un po’ attutiva la discontinuità tra i due mondi e un po’ l’accentuava, perché marcava il passaggio di quelle due ore che non avevo vissuto, inghiottito in una sospensione del tempo, o nella durata d’una vita immaginaria, o nel salto all’indietro nei secoli.
Quello che ho sempre amato – e che amo tutt’ora – del cinema, la sensazione a cui ancora non posso rinunciare è proprio quel brivido che arriva non appena si spengono le luci e si rimane tutti insieme ad attendere l’inizio della magia. Stare in quelle ore di buio in compagnia di altre persone non mi lascia mai indifferente: e in fin dei conti, con quante persone ci capita di vivere questo tipo di sospensione di tempo, di condividere momenti al buio? I privilegiati che condividono con noi il letto, il sonno, i fidi compagni delle nostre ore notturne e quelli con cui si assiste ai momenti più belli delle performance live.
Certo, questi eventi di teatro, cinema e concerti, comportano senza dubbio fatica, organizzazione e molti imprevisti. Ma proprio per questo, c’è più vita in un contenuto d’intrattenimento fruito in una di queste occasioni, che in mille video Facebook o Instagram (senza nulla togliere a questo tipo di intrattenimento flash, che ha però tutt’altra funzione). Il senso di appartenenza e comunità che si crea attorno a un luogo deputato allo spettacolo non ha ancora trovato un corrispettivo in nessuna delle alternative che abbiamo oggi. È la vecchia storia della scopa e l’aspirapolvere; certe cose, per quanto il mondo cambi, resistono alle innovazioni tecnologiche (l’aspirapolvere non ha ucciso la scopa, giusto?) Questo per rispondere a chi continua a insistere sul fatto che “prima o poi il cinema morirà”, surclassato dalle piattaforme streaming che ci porteranno inevitabilmente a guardare film e simili, su telefoni e altri supporti, direttamente da casa. Davvero siamo così sicuri che saremo capaci di rinunciare all’esperienza del cinema? All’immersione impagabile nel buio di una sala, alla qualità audio e video del tutto diversa da quella che potremmo avere in un qualsiasi altro contesto? Al fatto di avere un’occasione per uscire di casa e fare qualcosa, anche da soli? La mia prima volta la ricordo bene, è stata per il film Il favoloso mondo di Amelie: ero al liceo quindi mi vergognavo abbastanza all’idea di andare da sola al cinema (non avendo trovato nessuno che mi accompagnasse) ma volevo vedere subito il film e non potevo aspettare. Guarda caso però, nella piccola sala che frequentavo (e che ora non c’è più) ho trovato subito i volti famigliare degli affezionati a questo cinema e anche una mia amica, che non era nel mio giro solito di amicizie, ma che poi è diventata la mia compagna di cinema. Il film mi conquistò sotto tutti i punti di vista – musica, plot, attori, costumi, tutto! – e ricordo di essere uscita con il cuore più leggero. In fin dei conti non ero stata sola a godermi quel gioiello – e anche se lo fossi stata, la cosa ormai non importava più. Per la prima volta mi sono resa conto che stare concentrata su qualcosa – invece di farmi un film tutto mio, continuando a guardarmi dall’esterno – mi avrebbe forse aiutata a dire sì alla vita e no alla paranoie.
E anche se non tutti lo fanno, per me il cinema è anche l’occasione per fare una cosa che non faccio praticamente più: spegnere il telefono. Se guardo un film a casa finisce che per metà del tempo guardo il film, mentre per l’altra metà mi distraggo sul pc, controllo Facebook, Instagram, leggo due mail se arrivano, mi alzo, mangio qualcosa – insomma, diventa un’attività come un’altra. Mentre in sala, non ci sono molte alternative: recuperi la concentrazione su un’attività unica e l’attenzione è tutta per lui, il maxi schermo davanti a te – a meno che non ci si vada con qualcuno che ci piace, allora la storia inevitabilmente cambia. Anche lì, non è stato utilissimo andare al cinema, per i nostri flirt? Una zona franca dove cominciare a capirsi sulle cose importanti – Ti è piaciuto o no il film? Bomboniera o pop-corn? Ti siedi vicino a me o a quell’altra??– e dove, sotto tutti i punti di vista, possono prendere forma i nostri sogni. Siamo davvero così sicuri di volerci rinunciare…? Credo di no.
Source: freedamedia.it
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