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Perché Amo Le Biografie

In principio c’era la biblioteca di mia madre, in cui avevo trovato dei libricini minuscoli, che sembravano quasi un giocattolo e che facevano parte di una collezione di biografie di attori hollywoodiani: narravano molto brevemente della loro vita e dell’ascesa al successo, mettendo qua e là qualche foto e qualche frase celebre. Bette Davis, Charlie Chaplin, Katherine Hepburn, Marlene Dietrich e Cary Grant, entro i miei  undici anni, mi erano più familiari degli attori degli anni ’90. Una cosa non esattamente utile ma che trovavo molto appassionante.

Con questa premessa, è facile scoprire che tra i miei libri preferiti di sempre ci sono diverse biografie, e tra quelli più consigliati, pure. Da allora, ho sempre ricercato quel tipo di narrazione e così, sbirciando ovunque trovassi dei libri, la mia scelta ricadeva sempre sulle storie dei cosiddetti personaggi illustri: che fossero attori famosi o importanti politici, mi sono immersa nelle vicende meno conosciute di personaggi che altrimenti rimanevano mute fotografie, di cui potevo soltanto immaginare i retroscena – mentre io volevo sapere: cosa voleva dire, davvero, essere una star hollywoodiana? O un presidente americano? La mia curiosità unita alla determinazione di diventare un’attrice mi spingeva a cercare il segreto delle vite straordinarie dei grandi interpreti – e più in generale delle persone che avevano (nel bene o nel male) lasciato un segno nella nostra storia. Senza confessarlo troppo esplicitamente, cercavo nelle loro vicissitudini la strada giusta per realizzare i miei sogni.

L’adolescenza è diventata il periodo in cui ho divorato libri come Il presidente, di Gianni Bisiach, un volume rubato a casa dei miei nonni che racconta la storia di John Fitzgerald Kennedy; oppure John Belushi – Chi tocca muore, il libro di Bob Woodward, che ripercorre la vita del celebre attore. La prima biografia che mi hanno regalato è stata quella di Isadora Duncan, My Life, che mi ha portata poi a comprare I Diari del famoso ballerino Vaslav Nijinsky. Mentre negli anni dell’università mi sono innamorata follemente di due biografie che fanno parte dei testi consigliati per un esame, entrambi del filosofo Rüdiger Safranski: Schopenauer e gli anni selvaggi della filosofia e Nietzsche. Biografia di un pensiero.

Tutte queste storie hanno avuto su di me un impatto molto forte. Pur non essendo esenti da finzioni letterarie, queste immersioni nelle vite di personaggi straordinari mi hanno permesso di immaginare con più precisione lo spirito che li ha animati: tramite le loro parole (nella autobiografie) o quelle di qualcun altro (nelle biografie) la distanza tra me e loro si accorciava; sparivano i miti e venivano svelate le persone. Il caotico mondo immaginario che creavo attorno a queste figure di successo diventava una storia concreta fatta di sacrifici, obiettivi, illusioni, attese e tanti, tanti fallimenti. La mia attenzione allora si accendeva sugli inizi, le difficoltà a inserirsi nel mondo, i primi ostacoli, che mi hanno insegnato che nessuna storia di successo è mai stata un percorso in discesa; che la ricerca della fama, non porta altro che alla rovina e non soddisfa quell’ultima esigenza di un senso della vita che tutti, a un certo punto, sembrano ricercare. L’interesse dunque, velocemente si è spostato dal cercare di estrapolare la ricetta del successo, al capire come si diventa ciò che si è (per dirla come direbbe Friedrich Nietzsche).

Leggere la vita di qualcuno di famoso, di cui già si conoscono, a grandi linee, gli avvenimenti principali, permette di indagare tra quello che sembra, e quello che è – o almeno dovrebbe essere; di riempire quei vuoti di narrazione tra un successo e l’altro per scoprire magari che, contrariamente a ciò che si pensa, il percorso non è tutto rosa e fiori: che quegli spazi meno conosciuti sono fatti di lotte e difficoltà in cui possiamo riconoscerci. E soprattutto di eventi e persone che contribuiscono a cambiare un destino. Sono spazi di attese infinite e ostinazione – quelle cose che rendono i propri idoli molti più umani e vicini a noi. Questo per dire che non bisogna approcciarsi alle biografie con la pretesa di leggere vite esemplari, ma piuttosto, come un racconto di qualcuno che ci svela il meccanismo con cui ha attraversato la vita. Tra le righe di questi testi non è custodito un segreto – come mi illudevo di trovare – né il Santo Graal del senso della vita, ma soltanto una voce che si mette a nudo e ci racconta un modo unico e irripetibile, di attraversare il mondo. E come ha detto Barack Obama al New York Times, le biografie aiutano anche a ricordarsi che l’epoca in cui viviamo non è poi così complicata – e, aggiungo io, ad ammonirci che la storia si può ripetere. E che non siamo mai del tutto soli a combattere le nostre battaglie. 

Si scopre che molte storie raccontano la lotta contro un nemico che si presenta con un volto sempre diverso: possono essere i pregiudizi, le proprie derive, i propri sogni che diventano schiavitù, oppure un passato che ritorna e da cui non ci si riesce a liberare. Oppure si possono trovare, in storie poco conosciute, dei personaggi incredibili, tenaci e sorprendenti: penso ad Alexandra David-Néel, prima donna occidentale a giungere a Lhasa, in Tibet, oppure a Eva Mameli Calvino, e le sua storia di scienziata ai primi del Novecento. Di loro, per esempio, ho sentito parlare molto meno di altre donne – non sono storie “di grandi successi” – ma non ha importanza: conoscere la vita di chi ci ha preceduto è sempre un’esperienza, capace di infondere coraggio e speranza, in maniera davvero inaspettata. Anzi, sembra tanto più piena e preziosa, quanto più è nascosta. E allora si pensa ancora con più forza che al di là del riconoscimento che ci viene concesso dal mondo, le nostre storie sono come il proseguimento delle vite che ci hanno preceduto; si inseriscono in una linea che ci unisce tutti – vuoi per le vittorie o per i fallimenti. E ciò che non è stato realizzato nel passato può realizzarsi con noi – e viceversa; per quanto le nostre opere rimangano incompiute, ci sarà qualcuno che prenderà il nostro testimone e porterà avanti il cammino iniziato con noi. Le possibilità, a ogni lettura (o a ogni racconto delle avventure dei miei avi) mi sembrano infinite. E mi fanno sentire meno sola.

Il successo delle Storie della buonanotte per bambine ribelli mi ha riportata a quel primo approccio con le mini-biografie, a riprova che le storie di vite incredibili possono essere di grande aiuto, nell’infanzia, a modellare i nostri sogni, a stare saldamente  ancorati sulle spalle dei giganti, ad avvertirci dei pericoli che possiamo incontrare nella vita; allenano a essere empatici e a comprendere meglio – e non per forza a giustificare – le scelte più controverse e difficili da accettare. Aiutano a smettere di credere che ci sia una verità, un modello efficace per tutti, ma a fidarsi della propria originalità e dello sguardo unico che abbiamo sul mondo – che può tanto imprigionarci, quanto essere la chiave della nostra libertà. E credo che in qualche modo insegnino l’ascolto; il lungo racconto che ha il suono della nostra voce – ma le parole di qualcun altro – obbliga al silenzio e all’elaborazione di un percorso che viene giudicato una volta concluso, nella sua interezza.

Certo, me ne mancano ancora di fondamentali, che hanno fatto innamorare tantissimi accaniti lettori con cui condivido questa passione: per dirne qualcuna, sul mio comodino giacciono ancora intonsi libri come Senza perdere la tenerezza,  biografia di Che Guevara di Paco Ignacio Taibo II; Open, la mia storia del tennista Andre Agassi e quelle Vite Parallele di Plutarco che avevo stupidamente snobbato negli anni del liceo. Ma confido nell’estate. E pensando a questo mio morboso attaccamento alle biografie, sono sicura che in qualche modo quella prima biblioteca materna abbia rappresentato un invito fondamentale a stare sempre in ascolto delle storie meravigliose di chi ci sta intorno e da cui si può sempre imparare qualcosa. 

Source: freedamedia.it

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