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Come Passare un Buon Compleanno Nell’Era di Facebook

Il compleanno nell’era di Facebook, ovvero il momento in cui generalmente ringrazio i social per ricordarmi del giorno di festa dei miei amici – che una volta scandivano il mio calendario come le festività nazionali e ora invece sono a rischio di dimenticanza. A parte questa funzione per me preziosissima, l’esperienza del compleanno su Facebook ultimamente è diventata un po’ una questione numerica; se prima ci appariva la notifica di chi scriveva sulla nostra bacheca, ora ci appare direttamente il numero delle persone che hanno deciso di mandarci un pensiero per il nostro giorno – quantificabile quanto i like a una foto.

Se prima rispondevo abitualmente a ogni singolo messaggio, cogliendo magari l’occasione per scrivere a qualcuno che non sentivo da molto, ora metto like, qualche volta ringrazio in privato per il messaggio, e nella maggior parte dei casi penso a una frase a effetto per i ringraziamenti – sorridendo, perché quando scrivo i miei discorsi post compleanno mi sembra sempre di aver appena vinto un Oscar: c’è sempre un misto di stupore e solennità –  ma anche ironia e commozione, esattamente come se stessi parlando per la prima volta a una platea di persone che non aspettano altro che mi pronunci. Questo succede perché non scrivo abitualmente i miei status e perché ognuno ha le derive che merita e quindi sì, mi fa un po’ questo effetto; ma per quanto pensassi che fosse una questione di poco conto, in realtà anche l’esperienza del compleanno su Facebook può dirci qualcosa di noi, e infatti è stata presa ad esempio per indagare alcune nostre abitudini nell’era dei social.

Lui è lo psicologo Mitch Prinstein, e in un articolo del New York Magazine ha raccontato del suo esperimento per passare un vero buon compleanno su Facebook e vedere quali effetti positivi si possano trarre dai social se le nostre azioni non mirano ad aumentare i numeri dei nostri like, ma a coltivare le nostre relazioni. Il libro che ne parla è Popular e l’argomento è proprio la popolarità e il mondo dei social.

Il mio compleanno è arrivato proprio nel periodo in cui stavo scrivendo il mio primo libro, Popular. In questo libro parlo di una ricerca che suggerisce che dalle nostre relazioni sociali possiamo predire anche le nostre abitudini, la nostra felicità e addirittura il nostro stato di salute a lungo termine.

A quanto sostiene Prinstein, chi è più popolare è probabile che viva più a lungo di chi non lo è, ma attenzione: non si parla della popolarità intesa come successo o di quell’immagine che subito ci porta a un ambiente liceale americano con cheerleader e nerd. Anzi, è proprio su questo punto che si incentra la riflessione e si inserisce l’esperimento su Facebook; l’autore riconosce due tipi di popolarità:

Uno riflette quanto siamo simpatici alle persone, che è importante perché chi risulta essere una persona piacevole è facile che abbia connessioni sociali genuine. La nostra piacevolezza è basata su quanto sinceramente le persone vogliono passare del tempo con noi e stanno bene grazie a noi. L’altro tipo riflette il nostro status, che è un segno della nostra visibilità, dell’influenza che abbiamo sugli altri e della nostra fama. È importante capire la differenza. Le persone che sono piacevoli possono godere di una serie infinita di benefici. Lo status, al contrario, è un potenziale fattore di rischio per un ampio raggio di difficoltà psicologiche e fisiche.

La popolarità di cui parla Prinstein si riferisce dunque alla qualità delle nostre relazioni, che possono essere veicolate dai social e che trovano un effettivo riscontro nella realtà. La ricerca dello status, invece, della popolarità intesa come “successo” o fama tra le persone che si conoscono, ecco, quella non riguarda i supposti benefici che si possono trarre dalle relazioni interpersonali. E invece di rifiutare in toto i social, la sfida dello psicologo è stata quella di farne un uso che possa incrementarne solo gli aspetti positivi, evitando la trappola della mera ricerca di consensi – che sappiamo essere sempre in agguato ogni volta che pubblichiamo un post e non arrivano le notifiche di like.

La soddisfazione che deriva dal ricevere messaggi e notifiche (cosa che si solito accade in maniera massiccia il giorno del proprio compleanno) è stato studiato scientificamente e, a quanto pare, coinvolge un’area del cervello associata proprio al piacere. Non c’è dunque bisogno di negare i social per evitare le derive negative, ma bisogna focalizzarsi su come renderlo lo strumento per tenere vivo un legame veritiero; l’esperimento di Prinstein è stato dunque di allacciare una conversazione con tutti i contatti che hanno mandato un messaggio per il suo compleanno, senza limitarsi a mettere soltanto un like ad ogni post ricevuto: racconta così di aver riscoperto persone che non sentiva da tempo, di aver avuto l’occasione di ricordare momenti felici e, nonostante abbia impiegato diverse ore a rispondere a tutti, sostiene di aver avuto un sorprendente riscontro positivo da molti amici, più o meno stretti:

Per i successivi giorni e settimane, sono stato inondato di messaggi da amici che hanno apprezzato sinceramente l’opportunità di risentirsi. Ci siamo aggiornati, non solamente leggendo le nostre ben curate notizie in bacheca, ma mandandoci messaggi in cui abbiamo raccontato i nostri alti e bassi, riscoperto le cose in comune e trovato uno stimolo a fare una chiamata in più. Sono passati sette mesi e ancora ricevo qualche messaggio ogni settimana, segnale che qualcosa si è risvegliato in amicizie sopite da tempo.

Per quanto molti studi insistano sul fatto che siamo sempre più connessi e sempre più soli, sembra in realtà che una via d’uscita ci sia, e che non contempli drastiche misure di allontanamento da tutti i social, ma la sempre più difficile ricerca di un equilibrio che ci permetta di utilizzare la tecnologia senza esserne schiavi. Che avere amici e buone relazioni con le persone aiuti a vivere meglio, è abbastanza intuitivo; che qualcosa ci ricordi che sia possibile anche nell’era digitale forse meno, e fa sempre bene pensare che alla fine dipende tutto dall’uso che ne facciamo.

Source: freedamedia.it

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