PALERMO (ITALPRESS) – Quaranta anni fa una città già martoriata da guerre di mafia e omicidi eccellenti si risvegliò con il boato dell’ennesima esplosione, quella che in via Pipitone Federico tolse la vita al presidente dell’Ufficio istruzione del Tribunale Rocco Chinnici, al maresciallo dei Carabinieri Mario Trabassi, all’appuntato Salvatore Bartolotta e a Stefano Li Sacchi, portiere dello stabile in cui Chinnici risiedeva. Il ricordo del magistrato e di coloro che insieme a lui morirono è stato celebrato, a Palermo, dinanzi all’abitazione in cui la Fiat 126 imbottita di tritolo saltò in aria quel drammatico 29 luglio 1983, attraverso la deposizione di una corona di fiori da parte del ministro degli Esteri Antonio Tajani, delle autorità regionali e locali e dei figli di Chinnici, Caterina e Giovanni. Presenti anche il vice presidente del Senato Maurizio Gasparri, il presidente della Regione Renato Schifani e il sindaco di Palermo Roberto Lagalla. E, tra gli altri, anche l’unico superstite della strage, Giovanni Paparcuri, il procuratore della Repubblica Maurizio de Lucia, la procuratrice generale Lia Sava, il presidente della Corte di appello Matteo Frasca, gli ex giudici Giuseppe Ayala e Pietro Grasso, ed il presidente della commissione regionale antimafia, Antonello Cracolici.
Rocco Chinnici nasce a Misilmeri, nel Palermitano, il 19 gennaio del 1925. Entra in magistratura nel 1952. Dopo un lungo periodo di permanenza a Partanna come pretore, nell’aprile del 1966 si trasferisce a Palermo, giudice dell’ottava sezione dell’Ufficio Istruzione del Tribunale. Dai primi anni Settanta inizia ad occuparsi di delicati processi di mafia. Nel 1975 diviene Consigliere Istruttore Aggiunto. Quattro anni dopo, nel 1979, è nominato Consigliere Istruttore, proprio negli anni in cui la mafia sferrava un terribile attacco allo Stato.
Chinnici ha allora una intuizione che fa di lui un magistrato particolarmente moderno: progetta e crea, nel suo ufficio, un gruppo di lavoro, una scelta per allora rivoluzionaria e non ancora supportata da un apposito sostegno legislativo, dando forma a quello che sarà poi definito “pool antimafia”.
Accanto a sè, Chinnici chiama due giovani magistrati: Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Ed è proprio con loro che mette in cantiere i primi atti d’indagine di quelli che si caratterizzeranno come i più importanti processi di mafia degli anni Ottanta. L’attività del Giudice Chinnici non si esaurisce, però, all’interno delle aule giudiziarie: è un magistrato impegnato a sensibilizzare l’opinione pubblica e le istituzioni, rivolgendosi, particolarmente, alle giovani generazioni. Rocco Chinnici viene ucciso il 29 luglio del 1983 all’età di cinquantotto anni, con il primo attentato che utilizza la tecnica dell’esplosivo comandato a distanza.
Oltre a Chinnici vengono uccisi il maresciallo dei carabinieri
Mario Trapassi, l’appuntato Salvatore Bartolotta e Stefano Li
Sacchi, portiere dello stabile in cui abitava il magistrato.
Nell’auto di servizio, l’autista Giovanni Paparcuri, parzialmente
protetto dalla blindatura, è gravemente ferito e privo di sensi.
Sopravviverà, ma senza mai superare del tutto i problemi fisici
procuratigli dalla parziale esposizione all’onda d’urto. Ci sono
decine di feriti, anche all’interno delle abitazioni. E tra i
feriti due bambini. Era la preoccupazione più grande, per Rocco
Chinnici, negli ultimi tempi, quella di poter coinvolgere in un
possibile attentato un familiare, un passante, un uomo della
scorta. Se avesse potuto, avrebbe chiesto che altri uomini non
morissero con lui.
foto xd8 Italpress
(ITALPRESS).
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