Lo scorso 11 aprile il Consiglio d’Europa affermava che l’Italia discrimina i medici e il personale medico che non scelgono l’obiezione di coscienza in materia di aborto, soggetti a “diversi tipi di svantaggi lavorativi diretti e indiretti”. Il ministro della Salute, Beatrice Lorenzin, si disse stupita e replicò che l’organismo di Strasburgo si era basato forse su dati vecchi e che “ci sono soltanto alcune aziende pubbliche che hanno qualche criticità dovuta a problemi di organizzazione”.
A smentire Lorenzin saranno i dati pubblicati dallo stesso ministero: in Italia circa sette ginecologi su dieci non effettuano interruzioni volontarie di gravidanza (per fare un confronto, nel Regno Unito gli obiettori sono il 10% e in Francia il 7%). In particolare, sono obiettori il 70,7% dei ginecologi, ma anche il 48,4% degli anestesisti e il 45,8% del personale non medico. Un fenomeno che costringe molte donne (21 mila nel 2012, secondo i dati Istat) a rivolgersi addirittura a strutture di una Regione diversa da quella di residenza.
Sono solo due le regioni italiane nelle quale gli obiettori non superano il 50%: la Valle d’Aosta (13,3%) e la Sardegna (49%). Nel resto d’Italia si toccano percentuali elevatissime, superiori al 90% in Basilicata, in Molise e nella provincia di Bolzano. Ciò significa che, se a livello nazionale ogni non obiettore effettua 1,6 aborti all’anno, in Molise questa cifra sale a 4,7. Nel Lazio la quota di ginecologi obiettori è pari all’80,7%, più di quattro su cinque. E’ questa la situazione che ha portato il presidente della Regione Lazio, Nicola Zingaretti, a convocare un concorso per due ginecologi abortisti all’ospedale San Camillo di Roma, perché lavorino in una struttura dedicata nello specifico alle interruzioni di gravidanza, dove sarà molto difficile, una volta assunti, dirsi obiettori.
Anzi, si rischierebbe il licenziamento o la mobilità, essendo stati reclutati per questa funzione specifica. Su 94 ospedali con un reparto di ostetricia e ginecologia – si apprende dai dati del ministero – solo 62 effettuano aborti, ovvero il 65,5% del totale. Ed è utile ricordare che in Italia l’obiezione si allarga anche alla prescrizione della pillola del giorno dopo, che è un contraccettivo di emergenza (da non confondere con la pillola abortiva Ru486) il cui scopo è proprio limitare il più possibile le interruzioni di gravidanza. Nondimeno, se in Germania o negli Stati Uniti il farmaco si acquista senza ricetta, in Italia tentare di procurarsela significa spesso rimbalzare da un ospedale all’altro nella difficile ricerca di un medico non obiettore che la prescriva.
I vescovi hanno subito fatto sentire la loro voce, assai critica. “La decisione di assumere, attraverso concorso, al San Camillo di Roma due medici dedicati all’interruzione di gravidanza, impedendo loro dunque l’obiezione di coscienza, “snatura l’impianto della legge 194 che non aveva l’obiettivo di indurre all’aborto ma prevenirlo. Predisporre medici appositamente a questo ruolo e’ una indicazioni chiara”, scrive il quotidiano della Cei, ‘Avvenire’ citando sul suo sito web dichiarazioni di don Carmine Arice, direttore dell’Ufficio nazionale per la pastorale della salute, che sottolinea come in questo modo “non si rispetti un diritto di natura costituzionale qual è l’obiezione di coscienza”.
Da Bruxelles il ministro Lorenzin puntualizza: “Non bisogna esprimere pensieri ma semplicemente rispettare la legge, in cui l’obiezione di coscienza è rispettata. Quando fai assunzioni o concorsi non mi risulta ci siano parametri che vengano richiesti”. E proprio il rispetto della legge rivendica Zingaretti: “In questa vicenda”, afferma, “l’obiezione di coscienza è garantita al 100%: per rispettare l’applicazione è stato promosso un bando per due unità di personale su oltre 2.200 operatori del settore, in un servizio strettamente finalizzato a operare richieste di interruzione di gravidanza”.
“Il personale sanitario ed esercente le attività ausiliarie non è tenuto a prendere parte alle procedure di cui agli articoli 5 e 7 ed agli interventi per l’interruzione della gravidanza quando sollevi obiezione di coscienza, con preventiva dichiarazione”. Questo l’articolo 9 della legge 194 sull’aborto, a riconoscere la legittimità dell’obiezione di coscienza rispetto agli interventi di interruzione volontaria di gravidanza. Un articolo che fu introdotto, in quel lontano 1978 quando la legge fu approvata, per creare una sorta di cuscinetto di compensazione rispetto alle proteste della Chiesa cattolica, ma anche di molti medici cattolici praticanti che ritenevano la legge 194 un grave attacco alla loro etica personale.
Ma la decisione di Zingaretti di indire un bando riservato a medici non obiettori confligge con questo diritto? Un passaggio dell’articolo 9 può fare luce su questo punto: “Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare lo espletamento delle procedure previste dall’articolo 7 e l’effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l’attuazione anche attraverso la mobilità del personale”. In sostanza, si riconosce per legge che la Regione può intervenire per garantire il servizio alle donne che ne fanno richiesta, senza che si creino lacune.
La legge non parla esplicitamente di assunzione vincolata alla non obiezione, come fatto notare anche dal ministro Lorenzin, ma in un’accezione più ampia riserva alla Regione, per l’appunto, le disposizioni sul personale necessarie: se in una struttura finalizzata agli interventi di interruzione volontaria di gravidanza si rischia la totale assenza di medici disponibili, è un diritto-dovere della Regione “garantire l’attuazione” della legge.
Source: agi.it/cronaca
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