Come qualsiasi bambina, ero tarata su un orologio biologico immaginario e precoce. Nella mia mente i trent’anni corrispondevano alla vecchiaia, a quel punto avrei già fatto in tempo a diventare sia archeologa che fumettista, e per quanto riguardava la famiglia ero tassativa: i figli entro 25 anni, che mica volevo far loro da nonna.
Qualcuno potrebbe tornare indietro nel tempo e picchiarmi da parte mia, per piacere?
Come dicevo, credo succeda a qualunque bambina. Nel mio caso, però, la faccenda era legittimata dai miei genitori, che avevano avuto me a 18 anni e mia sorella a 23. Quei due anni in più che mi ero data dovevano servirmi a laurearmi e imparare due o tre lingue alla perfezione, immagino.
Non serve dire che oggi, a 31 anni, non ho realizzato nessuno degli arditi propositi della piccola e saccente me stessa. Non ho figli, non sono sposata, non mi sono mai laureata, parlo solo due lingue (mediocremente) oltre all’italiano, e scrivo. Quest’ultima però è una mezza vittoria, considerando che ho scelto di farlo a 13 anni, e so che non tutti hanno la stessa fortuna – capire presto che cosa vogliono fare, intendo. Che per certi versi è una figata, per altri un vero incubo. Ma se credete che abbia reso la mia vita più ordinata, che mi abbia aiutata a prepararmi, a rispettare le tappe che pensavo di dover rispettare, vi sbagliate di grosso. Anche perché quelle tappe, lasciatevelo dire, sono emerite boiate. Peccato averlo capito soltanto a 30 anni.
Quelli che da bambina sono i 25, da ragazza sono i 30. Li vedi come un traguardo, credi che arriverai lì equipaggiata di tutto – amore, esperienza, titolo di studio, carriera -, che avrai già costruito la tua piccola, ma solida casetta sulla cima della montagna che sognavi e che il resto saranno ampliamenti, decorazioni, minuzie. Aggiungerci una piscina, magari. Poi un giorno ti svegli, hai 29 anni e non solo non hai la casetta, ma non sai nemmeno più dove si trova la montagna. Panico. Vocina mentale che dice: Oh, cazzo.
Il fatto è che cresciamo permettendo agli altri di dettare i nostri tempi, di imporci dei traguardi in base ai quali giudicare se valiamo, e sentiamo di aver fallito quando non corrispondiamo a queste aspettative. Per questo le crisi peggiori arrivano sempre quando temiamo di aver fatto le scelte sbagliate. Siamo così di fretta, concentrate su quei fantomatici traguardi, che ogni volta che cambiamo idea, o deviamo dal percorso, o qualcosa non va come speravamo, è subito tragedia: “ho sbagliato tutto”, “la mia vita è rovinata”, “ormai è troppo tardi”.
La verità è che non c’è un “troppo tardi” perché non c’è un “tempo giusto”. A 25 anni credevo che fosse “troppo tardi” per diventare una scrittrice, perché se dovevo farcela, mi dicevo, ce l’avrei già fatta. Non sarei potuta neanche diventare giornalista, perché non avevo un titolo di studio e mi mancavano le competenze e l’autostima. Non potevo più cambiare idea, avevo buttato la mia vita.
Le mie amiche attraversavano fasi diverse, ma simili.
Una si sentiva in colpa perché, a pochi esami dalla laurea, non sapeva come dire ai genitori che da anni non voleva più fare il mestiere che credeva di aver scelto, ma che a renderla felice era qualcosa che non aveva mai sospettato: fare la commessa.
Un’altra aveva accontentato i genitori facendo le superiori che avevano scelto loro, ma la sua vera passione era la storia, e senza un’infarinatura di greco e latino si sentiva troppo indietro rispetto alle altre per tentare quella strada.
Un’altra ancora sapeva benissimo cosa voleva fare, ma si sentiva sola perché non aveva mai avuto un fidanzato e cominciava a chiedersi se ci fosse qualcosa di sbagliato in lei.
Oggi la prima amica è responsabile di un punto vendita, anche grazie alla sua laurea che temeva di dover buttare. La seconda ha deciso dal giorno alla notte di andare a studiare storia in Inghilterra, è passata dall’essere la persona più pigra che conoscessi a essere la più attiva e indipendente, e ha partecipato a degli scavi. La terza è stata la prima di noi a sposarsi, perché il suo primo fidanzato è stato anche quello giusto.
In quanto a me, a un certo punto ho scoperto che quelle che consideravo le mie perdite di tempo in realtà erano la mia ricchezza, e che dovevo scrivere di quelle. Oggi mi leggete su Freeda anche grazie a un lungo articolo su Sailor Moon.
Non viviamo per correre e confrontare i nostri tempi con gli altri, anche se a volte è inevitabile. Viviamo per imparare, guardare, provare, scoprire. Ci vuole tempo per conoscersi, tempo per capire che cosa si vuole, tempo per superare certe difficoltà e tempo per realizzare che alcune, in realtà, sono state possibilità. Ci vuole tempo anche perché le cose succedano fuori da voi: magari il lavoro dei vostri sogni comparirà tra due anni, e al contrario, quello che vi hanno obbligate a fare perché “era sicuro” scomparirà. Chi può dirlo?
Questo non significa che si debba restare ferme ad aspettare. Al contrario. Significa che non esiste il “tempo perso”, perché tutto serve, tutto contribuisce a farci capire chi siamo e che cosa vogliamo. Per questo il problema non è cambiare idea, né fallire in qualcosa, né prendersi tempo, né non aver ancora raggiunto certi traguardi a una certa età. Il problema è lasciarsi bloccare dall’ansia nel mentre, non fare nulla per paura di sbagliare o perché non ci sentiamo pronte, ossessionarsi con i ticchettii di un orologio che qualcun altro ha impostato per noi.
Ci sarà qualcuno che a 30 ha già la sua casetta fatta sulla montagna alla quale puntava. E allora? Magari io ho scoperto che la montagna non mi piace. Magari non voglio una casa perché mi piace girare ed è meglio fermarsi in albergo. Magari ho fatto di fretta una casa bruttissima e adesso voglio raderla al suolo e rifarla da capo. Magari la mia casa resterà in cantiere anni, ma alla fine sarà fichissima. Chissà?
La vita è breve, ma è anche lunga. Sapete che noia, se tagliassimo tutti i traguardi a 25 anni?
Source: freedamedia.it
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