Il neurofeedback è una tecnica avanzata che, in modo graduale, allena il cervello ad autoregolarsi e, di conseguenza, migliora determinati problemi psicologici quali ansia, stress e insonnia. In molti casi, inoltre, permette di potenziare il rendimento dei processi cognitivi migliorando l’attenzione, la memoria e l’apprendimento.
Forse in molti leggendo la parola “neurofeedback” hanno subito pensato ad una persona con numerosi elettrodi collegati alla testa per ricevere una scossa. Bisogna sottolineare che non è affatto così. Il neurofeedback non è invasivo, è indolore, non si emette elettricità e non basa il suo effetto su nessun tipo di farmaco.
“Il neurofeedback è una tecnologia d’avanguardia che ci mette faccia a faccia con lo specchio di quella dimensione più intima della nostra persona: il cervello”
-Barry Sterman-
Tale tecnica si limita all’uso di alcuni sensori connessi ad un computer. Un meccanismo semplice che ci permette di farci un’idea in pochi secondi sull’attività cerebrale e sulla sua connettività. Grazie a questo incredibile software di analisi cerebrale (o QEEG brain mapping), è possibile identificare, ad esempio, quali aree presentano un’iperstimolazione o quali aree non coordinando un’attività con la sincronizzazione necessaria.
Occorre sottolineare che la tecnica del neurofeedback non è nuova. Tutto ebbe inizio alla fine degli anni ’50 e inizio degli anni ’60, con Joe Kamiya (Dottore presso l’Università di Chicago) e Barry Sterman (Dottore presso l’Università della California). Entrambi lavoravano su un progetto per la NASA e allenarono molti astronauti con i parametri del neurofeedback per migliorarne l’adattamento cerebrale all’atmosfera esterna. In seguito, utilizzarono questo approccio per ridurre fino ad un 60% le convulsioni nei pazienti con epilessia.
Oggigiorno, possiamo trovare un vasto numero di centri specializzati in neurofeedback. Bisogna dire, tuttavia, che questo approccio non è privo di critiche. Ciò nonostante, un ambito in cui si stanno ottenendo risultati molto positivi è quello della cura dei disturbi da deficit dell’attenzione con o senza iperattività.
Vediamo ulteriori dati a seguire.
Il neurofeedback non è una cura, non è un farmaco capace di eliminare la nostra ansia o di contrastare da solo le conseguenze di un ictus. È un metodo di gestione o di regolazione dei processi del cervello affinché lavori in modo più sano.
Ciò si ottiene attraverso un minimo di 20 sessioni di allenamento ripetitivo utilizzando un programma di neurofeedback computerizzato. Questo programma insegna al sistema nervoso centrale a riorganizzare e regolare le frequenze delle onda cerebrali.
Per capire meglio, vediamo alcuni esempi.
Da quasi sei mesi Sara sta avendo seri problemi per dormire. È arrivata ad un punto in cui può a malapena concentrarsi, in cui non prende più la macchina per andare al lavoro, inoltre avverte di star perdendo il completo controllo delle sue emozioni.
Il suo medico le ha consigliato di iniziare delle sessioni di neurofeedback. A tale scopo, bisognerà seguire dei protocolli essenziali: il primo passo è realizzare una valutazione psichiatrica, poi un test neurologico e, infine, una mappa cerebrale o QEEG.
Quando gli specialisti realizzano quest’ultima prova grazie al programma informatico, scoprono effettivamente che il cervello di Sara è nello stato di massima allerta. Le aree involucrate nella reattività emozionale e nell’ansia lavorano il triplo del normale.
Si scopre, dunque, che è la sua ansia a consumare tutte le risorse del suo cervello e, per questo motivo, non può conciliare il sonno né concentrarsi né mantenere il controllo sulle sue emozioni in modo efficace.
Dopo questa prima diagnosi, gli specialisti tracciano uno specifico piano di formazione di neurofeedback per Sara. Attraverso la connessione tra il computer e il sistema nervoso centrale della paziente, si procederà ad un allenamento con il quale, grazie ad una serie di immagini, suoni, frasi, musica e altri stimoli, si creerà un modello di attività cerebrale più sano, più rilassato, più efficiente, affinché la qualità di vita di Sara sia migliore, come merita.
Non fa male, non disturba, non ci viene somministrato nulla, non proviamo prurito… Il neurofeedback può paragonarsi piuttosto a piacevoli sessioni di meditazione durante le quali ci troviamo davanti ad uno specchio: quello che riflette l’attività della nostra mente, di quell’entità affascinante, a volte caotica, che non sempre riusciamo a controllare del tutto.
Il neurofeedback ci aiuta ad avere un maggiore controllo sulla nostra attività cerebrale per gestire meglio i processi cognitivi e il nostro mondo emotivo.
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Ogni persona, dunque, avrà bisogno di un protocollo diverso in base alla sua situazione personale e alle sue necessità. Il neurofeedback risulta molto utile per i pazienti con depressione, emicranie, disturbi ossessivi compulsivi, insonnia, con dipendenza da determinate sostanze e soprattutto per i bambini con ADHA.
Molti bambini sono riusciti a migliorare la loro attenzione, la loro concentrazione e la loro memoria di lavoro con alcune sessioni da poco più di 20 minuti o mezz’ora, una volta a settimana. Occorre certamente sottolineare che non si tratta di un rimedio universale, e che in molti casi, come la depressione o l’ansia, l’azione del neurofeedback consiste nel ridurre i sintomi, ma non l’origine del problema.
Tuttavia, stando a quanto spiegatoci dagli esperti, tale terapia è in continuo sviluppo e si spera che i suoi effetti migliorino in breve tempo e grazie ai nuovi approfondimenti sul funzionamento del cervello. Restiamo in attesa di tali miglioramenti.
Source: lamenteemeravigliosa.it
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