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Navi dei veleni: così la mafia usava il mare come una discarica

Ma, chissà, forse è tempo di verità. La Commissione bicamerale di inchiesta sul ciclo dei rifiuti presieduta da Alessandro Bratti ha infatti chiesto e ottenuto il via libera alla desecretazione di alcuni documenti nelle mani dell’allora Sismi, il Servizio segreto militare, oggi Aise.

La storia parte negli anni ’70, quando il nostro Paese, che fa leva su una legislazione ambientale a dir poco carente, usa il Sud del mondo (Somalia, Guinea, Mozambico, Libano, etc.) come “deposito” di sostanze velenose e molto costose da smaltire. I rifiuti tossici, “semplicemente” non esistono più.

A seguito delle proteste ambientaliste si genera un grave imbarazzo internazionale, che spinge il nostro Paese e gli altri “esportatori” a far partire delle imbarcazioni con lo scopo di riprendersi i propri rifiuti. Peccato che anche il nostro Mediterraneo diventi a quel punto una discarica marina. La lista è infatti di almeno 90 navi affondate solo nel “mare nostrum” tra il 1989 e il 1995.

Un piano orchestrato ad arte, e con connotazioni criminali. Delle navi apparentemente legali partono per diverse destinazioni, cariche illegalmente di rifiuti tossici, senza mai arrivarci. Le imbarcazioni infatti affondano per “cause misteriose”, portando con sè tutto il carico di veleni, e tra l’altro truffando le assicurazioni. Sono tanti e “irrisolti” i casi. Un concentrato di imbarcazioni “fallaci”.

 

Nonostante i rischi enormi per la salute pubblica che potrebbero essere causati da questa catastrofe ecologica, le navi continuano a rimanere laggiù – in fondo al mar – senza che si sia mai verificato cosa contengano veramente.

Proprio contro l’inerzia delle istituzioni, è nato il progetto “in.fondo.al.mar”, progetto che mappa le navi affondate nel Mediterraneo con il loro carico di rifiuti tossici.

Ma cosa c’è dentro a quell’armadio che per decenni è rimasto chiuso?

“Dietro c’è quello che c’è sempre stato dietro alle grandi inchieste legate a quello che noi abbiamo battezzato fin dagli anni ’90 ‘ecomafia’, una serie di interessi consolidati che hanno intrecciato criminalità organizzata e imprenditori senza scrupoli che non hanno avuto alcun problema a utilizzare la mano dei mafiosi”, risponde Rossella Muroni, Presidente di Legambiente.

Una situazione analoga a quella della Terra dei Fuochi, dove  – lo ricordiamo – la gente continua a morire. “Adesso la troviamo anche in fondo al mare questa verità scomoda – continua la Muroni – che pesa sulla coscienza di tutti coloro che sapevano e che non hanno voluto denunciare, anche perché, come nel caso della Terra dei Fuochi, ora è veramente un bel problema”.

 

Il mare è infatti pesantemente avvelenato. “La quantificazione non è possibile perché non sappiamo quanti e quali rifiuti tossici effettivamente ci sono – ci spiega Maria Rapini – ma sono lì e a noi tornano”. Tornano nella catena alimentare, tornano nei danni alla pesca, alla fauna, e alla bellezza non solo visiva del nostro grande patrimonio acquatico.

Anche se non ci fossero più sversamenti, quali sono i danni già arrecati? Quanto e per quanto tempo pagheremo dunque questo avvelenamento?

“Considerare il mare il tappeto sotto il quale si può piazzare qualsiasi cosa è un danno gravissimo, che si ritorce sull’uomo in proporzioni gigantesche – spiega la Rapini – Una prova per tutte è che recentemente nella Fossa delle Marianne, profonda 11 km, sono state trovate delle tracce di PCB, policlorobifenili, sostanze al bando dagli anni ’70”.

L’articolo, pubblicato su Nature, non lascia in effetti spazio a dubbi: nella Fossa delle Marianne, abisso degli abissi, si rileva una sostanza prodotta dagli anni ’30 agli anni ’70 con produzione globale circa 1,3 miliardi di tonnellate, usata come ritardante di fiamma, con livelli di contaminanti notevolmente superiori a quelli documentati nelle regioni vicine ad industrializzazione pesante, indicando bioaccumulo di una sostanza prodotta dall’uomo.

Ma è anche una prova di come il mare può nascondere solo agli occhi di chi non vuole vedere.

“Sui fondali arrivano tutti gli inquinanti versati in mare E se arrivano così in profondità significa che sia la quantità sia il tempo sono veramente lunghi. E prima o poi, attraverso la catena alimentare, ci arriva tutto quello che abbiamo buttato” conclude Maria Rapini.

 

Un disastro di cui sono responsabili sicuramente criminalità organizzata e imprenditori conniventi, ma anche tutti coloro che sapevano e hanno taciuto, tutti coloro che davano dei “pazzi” alle persone coraggiose che denunciavano i fatti da tempo, alcuni di loro pagando con la vita.

“Sappiamo che da qui partono tante inchieste, anche su morti eccellenti, da Ilaria Alpi (giornalista rimasta uccisa nel 1994 nel corso di un’indagine in Somalia, N.dR.) fino al Capitano De Grazia” (capitano di fregata della Marina Militare morto per “causa tossica” nel 1995 mentre cercava di fermare gli affondamenti, N.d.R.)” tuona al telefono Rossella Muroni

Per anni abbiamo dunque assistito all’omertà, al negazionismo, e soprattutto all’avvelenamento continuo dei nostri mari, tutti, perché non è meno “nostro” il patrimonio acquatico alle coste africane.

“Io però credo che stia iniziando il momento della verità – conclude la Muroni – I documenti ufficiali dei servizi segreti ci aiutano a togliere di mezzo uno degli argomenti più spesso battuti, ovvero che eravamo dei visionari, dei pazzi, degli allarmisti. Così non è, lo scrivono i servizi segreti. Pensiamo dunque che stia iniziando un processo di verità e trasparenza, che ci auguriamo vada avanti e in maniera rapida”.

Da un’ intercettazione di un dialogo tra due boss mafiosi:

“Basta essere furbi, aspettare delle giornate di mare giusto, e chi vuoi che se ne accorga?”

“E il mare?”

“Ma sai quanto ce ne fottiamo del mare? Pensa ai soldi, che con quelli il mare andiamo a trovarcelo da un’altra parte…”

Alla luce di tutto questo, ci domandiamo dove.

Roberta De Carolis

Photo Credit

Source: greenme.it

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