Muri nel mondo

Il Muro di Berlino, la Muraglia Cinese, il Vallo di Adriano e le Peace Lines in Irlanda, il “muro messicano” a detta degli americani e “muro della vergogna” secondo i messicani, la Linea Verde a Cipro, i chilometri di fossati e filo spinato fra Grecia e Turchia, i sei metri di recinzione elettrificata che dividono l’Africa dall’Europa, la barriera del 38° parallelo che separa Corea del nord da Corea del sud, il Muro marocchino nel bel mezzo del Sahara, la Line of Control nel Kashmir, la barriera metallica fra India e Bangladesh, i muri di Israele.

Sono soltanto recinzioni? Soltanto “pareti” immense?

Sarebbe molto più semplice parlare di mattoni disposti l’uno sull’altro e di fili spinati arrotolati come tentacoli attorno ad infinite palizzate.

Sarebbe molto più semplice parlare di ciò che l’occhio può vedere, di quello che galleggia sulla superficie della realtà.

Quello che non tutti sanno è che fra quei mattoni non c’è calce, ma terrore, e rabbia. Moltissima rabbia.

Muri che dapprima difendono e subito dopo rinchiudono, muri di sabbia più forti del vento.

E dalle crepe, a piccole gocce lampeggianti, sgorga il sangue di chi, con quel muro e con la guerra, non ha nulla a che fare.

Attraverso le fenditure, le urla degli innocenti, il silenzio dei potenti.

Mentre tutto muore e tace, il muro non crolla e ondeggia al vento una bandiera bianca macchiata di sangue.

Più il muro non crolla, più le differenze aumentano, più la distanza si fa aspra. Non c’è gravità, lì. Lì dove si trova il muro. Ogni passo avanti è angoscia di perdere tutto quello che si ha alle spalle. Ogni passo avanti è vittoria e conquista.

Dalle mura di Costantinopoli ai lager, l’uomo ha sempre assecondato con orgoglio il suo bisogno di rinchiudere, segregare, incatenare e reprimere.

Quando quel muro diventa l’unica cosa conosciuta, esso diventa la terza dimensione di un’enorme stanza senza porta e senza finestre, buia anche sotto al sole. La libertà è al pari di un’immensa prigione: sebbene le sbarre siano lontane, la loro presenza resta innegabile.

Prigioniere di se stesse, le ignare vittime di questo gioco truccato non possono far altro che scrivere sulle pareti della loro cella.

Non tutti i muri dividono, alcuni uniscono. È a questo scopo che è nato, ad esempio, il Muro del pianto, unico frammento rimasto del tempio di Gerusalemme.

Muri più grandi e più freddi, dentro di noi.

I rapporti umani non esistono più. Se ne possono trovare piccoli detriti, in giro per le strade, ma mancherà sempre l’ultimo pezzo, che nessuno andrà a cercare.

Il futuro non è un muro che è impossibile non urtare. Eppure ognuno costruisce attorno a sé barriere invalicabili. Il problema è che ci dimentichiamo di costruire una porta e rimaniamo chiusi dentro, ogni volta.

Inutile sbattere la testa contro la parete: è la testa a rompersi, il muro non tremerà nemmeno.

Un proverbio cinese recita: “Purtroppo sono più numerosi gli uomini che costruiscono muri di quelli che costruiscono ponti.”

Erigere muri è inutile. I muri crollano, da sempre.

il mondo di philo

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