Il giovane, che secondo l’intelligence della repubblica ex sovietica del Kirghizistan “verosimilmente” è l’attentatore suicida della stazione ‘Sennaya Ploshad’, viveva a San Pietroburgo da sei anni, aveva cambiato diversi passaporti e ne aveva uno valido per l’espatrio. Il suo nome era circolato già ieri, prima come ricercato (ed era stata segnalata la sua automobile, una Daewoo Nexia), poi come possibile kamikaze, versione che pare oggi avvalorata dagli inquirenti.
Jalilov è il terzo uomo emerso ieri al centro delle indagini, precisa il sito di notizie pietroburghese Fontanka.ru: la polizia della seconda città della Federazione russa aveva ricercato, e subito trovato, un giovane originario della Baschiria (repubblica russa del distretto del Volga). Poi si era parlato di uno studente dal Kazakistan, Maksim Arishev, come possibile kamikaze, ma l’ipotesi è stata confutata dalle autorità di Astana, secondo cui il ragazzo non è tra le persone morte nell’attacco alla metropolitana. Pur senza certezze, le indiscrezioni puntano il dito a un’azione compiuta da un ‘ex sovietico’, o meglio, da una cellula di estremisti islamici originari di una repubblica un tempo parte dell’Urss.
Secondo fonti ascoltate dal quotidiano Kommersant, il ritrovamento di un secondo ordigno, più potente e non esploso, alla fermata Ploshad Vosstaniye, avvalorerebbe l’idea di un atto terroristico ideato non da un lupo solitario, ma da un gruppo jihadista, su cui i servizi russi stavano indagando da un certo tempo grazie ad un informatore, senza ottenere sufficienti informazioni per fermarlo. Dopo la prima esplosione, i numeri telefonici considerati in connessione a questa ‘cellula’ sono stati bloccati e questo potrebbe aver mandato in panico il secondo attentatore, che avrebbe lasciato l’ordigno in gran fretta sul binario, dandosi alla fuga. Le fonti di Kommersant sottolineano che, tuttavia, per si tratta solo di ipotesi investigative.
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