Quando si parla di comicità non riesco a non a pensare a un attore che ha saputo racchiudere in sé, uno spirito comico eccezionale al pari di una spiccata intelligenza emotiva e che ha reso i suoi personaggi indimenticabili: Massimo Troisi.
Sono nato in una casa con 17 persone. Ecco perché ho questo senso della comunità assai spiccato. Ecco perché quando ci sono meno di 15 persone mi colgono violenti attacchi di solitudine.
Massimo definisce la famiglia come “una compagnia stabile”. Per lui rappresenta il nucleo più importante – e nel suo caso, anche molto numeroso; nasce il 19 febbraio del 1953 a San Giorgio a Cremano (Napoli), ultimo di sei figli. Il padre è ferroviere, la madre casalinga e assieme ai fratelli e alle sorelle, cresce tra zii, cugini e nonni materni.
Già nell’infanzia però, deve fare i conti con la malattia: dopo una febbre reumatica, Massimo svilupperà dei problemi al cuore che lo accompagneranno per tutta la vita – fino alla morte a soli 41 anni. È molto riservato riguardo le sue condizioni di salute e intanto, sviluppa la sua spiccata vena artistica appassionandosi alla poesia e al teatro. In particolare, negli anni dell’adolescenza è fortemente influenzato dalla figura di Pasolini – autore che ama molto – e dalle sue esibizioni a teatro, che gli fanno scoprire un lato di sé ancora sconosciuto. È molto timido, ma sul palco si rende conto di trovarsi a proprio agio e acquisire una forte libertà. Si esibisce in diversi spettacoli teatrali e conosce l’amico di una vita, l’attore che sarà al suo fianco in moltissimi spettacoli teatrali e film cinematografici: Lello Arena.
In particolare, si avvicina molto alla commedia dell’arte e rimane affascinato dalla celebre maschera di Pulcinella, di cui vuole mantenere lo spirito, liberandosi della maschera:
Ho cominciato a scrivere. Già scrivevo poesie, ma solo per me, poi ho cominciato a buttar giù canovacci e tra parentesi mettevo ‘lazzi’, quando si poteva lasciar andare la fantasia. A me divertiva proprio uscire coi ‘lazzi’, improvvisare, per poi tornare al copione. Era il momento del teatro alternativo d’avanguardia e tutti volevano usare Pulcinella. Rivalutarlo. C’era Pulcinella-operaio, e cose del genere. A me questa figura pareva proprio stanca. Pensavo che bisognasse essere napoletano, ma senza maschera, mantenere la forza di Pulcinella: l’imbarazzo, la timidezza, il non sapere mai da che porta entrare e le sue frasi candide.
Massimo si butta dunque nel teatro: scrive canovacci e testi teatrali, e costituisce un gruppo con cui lavorare. Ma ancora, i suoi problemi di cuore lo costringono a interrompere il suo lavoro e volare a Houston per un importante intervento alla valvola mitralica, che si conclude con esito positivo. Può tornare a Napoli e dedicarsi alla sua attività di attore. E proprio nell’anno successivo, nel 1977, Troisi, assieme a Lello Arena e Decaro creano un gruppo chiamato La Smorfia, che si esibisce quasi per caso al Teatro Sancarluccio di Napoli, per una sostituzione. Il risultato è incredibile: il pubblico li adora e comincia così la carriera dei tre giovani attori. Approdano prima al cabaret romano de La Chansone e poi a trasmissioni radiofoniche fino a quando non vengono notati da Enzo Trapani e da Giancarlo Magalli, che ne preparano l’esordio televisivo nel loro programma Non Stop. Qui, Massimo incontrerà il cantautore Pino Daniele, che sarà per lui un futuro collaboratore e soprattutto, un grandissimo amico.
Il trio ironizza su tutto, riuscendo a proporre un tipo di comicità che cerca di evitare i soliti luoghi comuni per andare ad afferrare, sempre con leggerezza, una comprensione più profonda della realtà. Per chi se li fosse persi, questi sono due degli sketch più famosi: L’annunciazione e La Fine del Mondo.
Grazie al successo raccolto con Non stop, il trio arriva anche al programma del sabato sera Luna Park: ma questa sarà l’ultima esibizione assieme. Massimo si sente limitato non solo dal trio, ma probabilmente anche dal mezzo televisivo stesso e negli anni ’80, dopo lo scioglimento del gruppo, si misura con una nuova avventura: il cinema.
In molti gli propongono ruoli e sceneggiature, ma Massimo le trova di bassa qualità e le definisce “scoraggianti”. Poi, il produttore Mauro Berardi gli offre un ruolo in un film che avrebbe potuto fare al caso suo: la pellicola alla fine non si girerà, ma per Berardi diventa di primaria importanza convincere il talentuoso attore napoletano a cimentarsi sul grande schermo. Gli propone così di affrontare un progetto tutto suo, in cui avrebbe curato sceneggiatura e regia, oltre a ricoprire il ruolo principale. Nel giro di un anno, Troisi scrive il primo film assieme a Anna Pavignano, Ottavio Jemma e Vincenzo Cerami: Ricomincio da tre. Un film che, tra le altre cose, mi ha colpita per come ha rappresentato alla perfezione tutti quei momenti delle mie relazioni in cui ho sentito il bisogno di dire: vado un attimo in bagno, e partire con lunghissimi monologhi allo specchio.
Come ricorda Anna Pavignano, per Massimo la scrittura di un film è un momento di grande libertà, dove può scrivere delle tematiche che più gli stanno a cuore (più che mostrare il suo lato strettamente autobiografico). Lui stesso dirà: “Nel momento in cui comincio a scrivere – che forse è la parte fondamentale, la parte più importante – lì sono io”. Non gli interessa fare un film che possa facilmente compiacere il pubblico del tempo, ma ricerca l’essenza del suo carattere e della sua quotidianità: indagare con il suo sguardo più sincero, temi come l’amicizia e l’amore. Pavignano racconta:
L’esigenza era di raccontare quello che eravamo noi, ma non tanto in senso autobiografico, quanto nel senso del pensiero e del modo di essere: delle cose di cui discutevamo normalmente, della vita.
Massimo fa un cinema che gli piace, in cui crede: non vuole rincorrere il successo. Eppure, con il suo esordio diventa la rivelazione del cinema italiano. Grazie a questo film ritira – come regista e attore – due David di Donatello, tre Nastri d’argento e due Globi d’oro. Nel 1982 ritorna alla televisione, partecipa come attore al film No grazie, il caffè mi rende nervoso, e prepara il suo secondo lavoro: Scusate il ritardo. Per i tempi del cinema, aspettare due anni per uscire con una seconda pellicola, dopo il successo clamoroso della prima, è pura follia, ma Massimo subito si dichiara inamovibile nel voler rispettare i suoi tempi. E di nuovo porta in scena un personaggio, Vincenzo, che rispecchia alcune delle insicurezze di Troisi stesso, nei confronti della vita e dell’amore. La sua recitazione è una recitazione che continuamente s’interrompe, si riavvolge, si ripete, e che riempie le pause di tutto ciò che realmente c’è bisogno di comunicare, al di là delle parole. E credo di parlare per molti nel dire che la grazia con cui è riuscito a mostrare timidezza e fragilità, del tutto priva di ogni vanità, è davvero unica – e rara. E molta di questa poesia si riflette anche nel suo uso del dialetto:
Rispetto all’uso del napoletano, era un fatto quasi ideologico, era una difesa. Era anche lì, forse…il non accettare le regole. (…) Sarebbe stato troppo facile entrare in un meccanismo che, ti avrebbe dato sì successo e ti avrebbe dato la possibilità di esprimerti, ma a condizione. Infatti le prime cose mie, sia in teatro, sia Ricomincio da tre, sono molto più napoletane ma perché a me dava l’idea che avrei tradito il mio dialetto, la mia cultura, ma avrei tradito anche le mie idee di voler fare delle cose diverse. (…) Quando scrivo, quando penso, io lo faccio in napoletano ma per un motivo di ordine pratico perché tutto mi viene più spontaneo e più celere: a certi meccanismi di comicità non ci sarei arrivato in italiano, perché probabilmente per me sarebbe stato un processo che avrebbe avuto bisogno di più tempo.
Dopo altri due anni, nel 1984, arriva un altro capolavoro, il cult Non ci resta che piangere, scritto diretto e interpretato assieme all’amico Roberto Benigni. Non esiste un vero e proprio copione, ma un canovaccio cui attenersi: il risultato è un mix irresistibile di comicità che porta il film a raggiungere la vetta delle classifiche di incassi – oltre a rimanere un vero e proprio cult del cinema italiano. Qui di seguito, due degli sketch che ho più amato: lo storico “fiorino” e la battuta “scientifica” grazie a cui avrebbero dovuto attirare l’attenzione del grande Leonardo da Vinci.
Con il film successivo, Le vie del Signore sono finite, consolida le sue abilità di regista e guadagna un Nastro D’argento per la miglior sceneggiatura. Ma i problemi di salute tornano in primo piano, impedendogli di accettare diverse proposte lavorative. Dopo un periodo di riposo torna al cinema con il grande Ettore Scola, cimentandosi con lui in tre film – due dei quali assieme a Mastroianni, con cui vincerà la Coppa Volpi ex equo nel 1989 per il film Che ora è. Negli anni ’90 arriva un altro successo con il film Pensavo fosse amore… invece era un calesse, che è anche la sua ultima regia. E per questo film, il grande Pino Daniele firma una della sue canzoni più belle: Quando.
Nel 1993 infatti, è costretto di nuovo a fermarsi per un altro intervento al cuore: ma la salute non migliorerà. Prima di cominciare il suo ultimo film Il Postino, Massimo starà un mese e mezzo in ospedale per complicazioni dovuti all’intervento. I dottori gli presentano la possibilità del trapianto, ma Massimo preferisce prima girare il film. Quando muore il 4 giugno del 1994, Massimo ha finito di girare da appena 12 ore, e si trova a Roma a casa della sorella.
La pellicola ottiene un successo strepitoso e viene candidata a cinque premi Oscar – tra cui quello per il miglior attore. Vincerà solo per la migliore colonna sonora (di Luis Bacalov) ma al di là dei riconoscimenti, questo film rimarrà – come gli altri – nei cuori del pubblico che l’ha amato e l’ha seguito fino all’ultimo.
Source: freedamedia.it
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