ROMA (ITALPRESS) – «La pandemia ha messo sotto scacco il diritto alla salute. Nella prima fase l’incapacità del SSN di continuare a rispondere alla domanda di cura dei pazienti “non Covid” è stata comprensibile ma già dalla seconda ondata è risultata ingiustificabile». E’ la sentenza senza appello contenuta nel rapporto di Cittadinanzattiva su “Cittadini e cura delle cronicità” presentato in occasione del convegno “Diagnosi e terapie: come riaprire le porte dell’accesso al SSN”, organizzato oggi a Roma da Egualia, con la partecipazione tra gli altri di Filippo Anelli (presidente FnomCeo), Raffaele Donini (coordinatore della Commissione Salute della Conferenza delle Regioni), Nicola Magrini (direttore generale AIFA), Andrea Mandelli (presidente FOFI), Annamaria Parente (presidente della Commissione Igiene e sanità del Senato).
«Abbiamo voluto creare un momento allargato di confronto, un’occasione di condivisione con gli stakeholder, il mondo istituzionale e gli operatori del mondo sanitario su quanto è avvenuto in questo periodo complesso e sulle ipotesi operative per rimettere in moto il sistema e riaprire le porte del SSN a tutti i suoi legittimi proprietari», ha spiegato Enrique Hausermann, presidente di Egualia.
«E’ necessario recuperare la dimensione umana delle cure e per farlo è necessario cogliere appieno l’opportunità del PNRR rimuovendo in primo luogo le gravi disomogeneità regionali esistenti da decenni e ricordando per gli anni a venire tutti i cattivi frutti che la politica dei tagli lineari ha fatto emergere in occasione della pandemia», ha aggiunto.
L’analisi di Cittadinanzattiva – illustrata dal segretario generale, Annalisa Mandorino – muove dai dati consolidati della rinuncia “forzata” alle prestazioni sanitarie raccolti da più fonti nell’anno e mezzo dell’emergenza sanitaria che stiamo ancora vivendo: un calo del 20,3% delle prestazioni ambulatoriali e specialistiche (ISTAT); 2 milioni in meno di prestazioni indifferibili (-7% – Istat); 1,3 milioni di ricoveri in meno (- 17% – Corte dei Conti), con un 13% in meno di ricoveri in chirurgia oncologica e un 20% in meno di ricoveri in ambito cardiovascolare e cardiochirurgico. Focus dell’analisi la contrazione d’accesso a diagnosi e cure per quattro principali aree terapeutiche: patologie respiratorie, cardiovascolari, metaboliche e oncologiche.
«Ora è necessario cambiare passo – ha commentato la Mandorino -. Dobbiamo scongiurare il rischio, a fine 2021, di veder allungarsi le liste di attesa per le prestazioni non covid con un ulteriore restringimento del diritto alle cure per i cittadini. Le risorse a disposizione delle Regioni per recuperare i ritardi devono essere utilizzate al più presto e non dirottate per altri scopi».
Sono 9 le proposte civiche elaborate da Cittadinanzattiva dopo il confronto con FIMMG (Federazione Italiana Medici di Medicina Generale), FOCE (Confederazione Oncologi, Cardiologi e Ematologi) e SID (Società Italiana Diabetologia).
1. Liste d’attesa: prevedere un piano nazionale di recupero invitando le Regioni a rendere trasparenti le informazioni sui modelli organizzativi e i criteri operativi adottati e la destinazione delle risorse stanziate. Inserire nel nuovo sistema nazionale di garanzia dei LEA uno o più indicatori “di adempimento” per misurare la capacità di recupero di ogni Regione, con particolare riferimento alle prestazioni correlate alle malattie croniche.
2. PNRR: gestire le risorse avviando un processo “partecipativo e su più fasi”, che sia rappresentativo della parte istituzionale di livello nazionale e regionale, sociale e professionale. Riconoscere a pieno titolo il contributo dell’Osservatorio Civico sul PNRR.
3. Prevenzione: ripensare gli screening, potenziandone la capacità di erogazione dei programmi, sia in termini di infrastrutture (es. sistemi informativi), sia di professionisti sanitari, allocando le risorse in modo efficiente, stabile e commisurate alle necessità.
4. Rete ospedaliera: rivedere la logica del DM70/15, individuando soluzioni logistiche basate sulla complessità dello stato di salute dei pazienti, sulla tipologia (acuto, media e bassa intensità) e sul fabbisogno tecnologico e di competenze professionali. Per i grandi ospedali non limitarsi a supportare il solo adeguamento antisismico e la sostenibilità ambientale.
5. Prossimità: rilanciare il ruolo del Distretto. Velocizzare la definizione di standard omogenei per l’assistenza territoriale e rendere partecipata alle Associazioni di Cittadini e Pazienti e alle Società Scientifiche la discussione sulla riforma dell’assistenza territoriale. Gli investimenti sugli Ospedali di Comunità siano input per rivedere e riqualificare la rete complessiva delle cure intermedie (RSA e Hospice). Porre attenzione all’evoluzione della figura del MMG.
6. Assistenza domiciliare: perseguire una logica di integrazione tra servizi sanitari e servizi sociali, ridisegnando un sistema di Welfare che superi la netta separazione di competenze tra i vari attori del sistema.
7. Medicina Generale: rendere omogenei i modelli organizzativi e assistenziali della medicina generale, lasciando ai MMG la possibilità di restare presenti capillarmente sul territorio, dotandoli di apparecchiature tecnologiche e rivedendo anche la disponibilità oraria dei professionisti. Investire al contempo sulla capacità di mettere in rete tutte le attività territoriali esistenti.
8. Telemedicina: promuovere una governance nazionale delle iniziative di telemedicina,con scelte mirate guidate da un’unica regia nazionale che definisca, in accordo con le Regioni, obiettivi comuni, requisiti tecnologici unitari, tariffe e rigorosi processi di progettazione e implementazione, prevedendo anche ove necessario, una revisione dell’organizzazione dei servizi sanitari
9. Parco tecnologico: superare la logica della mera sostituzione, fissando criteri che rispondano ad una programmazione basata sui fabbisogni dei pazienti, sull’allocazione delle apparecchiature e sul loro inserimento all’interno dei processi assistenziali, tenendo conto pertanto dei contesti organizzativi e dell’evoluzione dei percorsi di diagnosi e cura che tali apparecchiature andranno a sostenere.
La seconda indagine presentata al convegno Egualia, condotta nel mese di giugno da SWG, su un campione di 4.534 soggetti maggiorenni residenti in Italia, si è concentrata sul rapporto degli italiani con la salute e l’utilizzo dei medicinali.
«La pandemia in corso ha cambiato il rapporto tra gli italiani e la salute – ha spiegato il direttore di ricerca SWG, Riccardo Grassi – sono cresciute l’attenzione con cui si guarda alla propria salute e la fiducia verso un approccio scientifico della medicina e della cura, mentre si indeboliscono le visioni olistiche della salute come equilibrio tra corpo e mente».
Il 58% degli intervistati si definisce piuttosto attento alla propria salute (+5% rispetto al 2018), mentre diminuisce di 12 punti percentuali il dato di chi considera la salute una questione di equilibrio tra corpo e mente (34% contro il 46% del 2018), così come diminuisce la quota di chi non sopporta di essere ammalato (22% contro il 29% del 2018).
Il 50% degli intervistati – in particolare over-64 – dichiara di effettuare regolarmente esami diagnostici di controllo, ma risulta in deciso calo – probabilmente per effetto pandemia – il numero di chi fa visite regolari visite dal medico di famiglia (20% contro il 26% del 2018).
Denso di zone grigie il rapporto con i farmaci generici: «Tre quarti degli intervistati dichiarano di avere ben presente cosa si intende quando si parla di farmaci generici o equivalenti 75%), il 90% riconosce che il farmaco generico/equivalente costa meno ma solo il 34% degli intervistati è certo che sia identico al farmaco di riferimento. I dati evidenziano complessivamente un livello di informazione non sufficientemente accurato che si traduce in una chiara discriminante all’acquisto».
Una incertezza di fondo che porta il 29% del campione ad acquistare spesso farmaci generici, un 40% ad acquistarli occasionalmente e un 31% a non acquistarli o ad acquistarli solo di rado. Fondamentale il ruolo di medici e farmacisti, alle cui indicazioni si affidano due intervistati su tre e che, quindi, possono svolgere un ruolo fondamentale nella promozione dell’utilizzo di farmaci generici. A frenare oggi i potenziali consumatori sono abitudine (26%) e diffidenza (22%), figlie soprattutto di una scarsa informazione.
(ITALPRESS).
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