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Se l’Europa invecchia male

A marzo l’Europa compie sessant’anni e non è affatto in buona salute. Era il 25 marzo 1957 quando furono firmati i trattati di Roma, dando così vita all’Europa unita. L’obiettivo dei sei paesi firmatari – Italia, Francia, Germania Ovest, Paesi Bassi, Belgio e Lussemburgo – era quello di “porre le fondamenta di un’unione sempre più stretta fra i popoli europei”. A sessant’anni di distanza, il 24 e 25 marzo a Roma verrà celebrata la ricorrenza con un vertice informale dei capi di Stato e di governo. Sarà solo una celebrazione istituzionale?
Da quel 1957 l’Europa ha fatto molti passi avanti, non solo per il numero degli Stati membri dell’Unione. Ma oggi la nostra Europa rischia di implodere su se stessa. Corrosa dal tarlo dei nazionalismi che riemergono e dal semplicismo demagogico di chi fa leva sulle paure della gente in questo periodo di grandi trasformazioni. Imbalsamata dalla miopia di classi politiche incapaci di traguardare le sfide e immaginare un futuro diverso. Un vero incubo. Noi di Legambiente siamo sempre più convinti che la dimensione europea – il sogno europeo – possa e debba rappresentare un fronte reale di cambiamento. L’unico futuro possibile. Un’Europa diversa, che investa sulla componente sociale, che costruisca un’economia forte, giusta e pulita, che si ponga internazionalmente alla guida della lotta al mutamento climatico e affronti le migrazioni non come un pericolo da scongiurare ma come un fenomeno storico ineludibile, da gestire con umanità. Anche per dare nuova linfa, nuove identità e nuove idee a “nonna Europa”, come l’ha definita papa Francesco.
Diamoci una mossa
In autunno il Movimento europeo, guidato da Virgilio Dastoli, ha lanciato la proposta di una mobilitazione popolare per il 25 marzo nella Capitale. Da allora stiamo lavorando per allargare il più possibile lo schieramento di chi vuole che l’Europa cambi rotta. Noi vogliamo dare il nostro contributo associativo affinchè il sogno europeo continui ad esistere, contrastando l’idea di austerità e chiusura che l’Europa rischia sempre più di incarnare: un’istituzione fredda, lontana, burocratica, utilizzata dai governi nazionali come tiranno lontano su cui scaricare le responsabilità per giustificare le scelte politiche dell’austerity. Questa percezione e questo inganno vanno combattuti.
Con questo intento dobbiamo avvicinarci all’appuntamento del 25 marzo. Tra i tanti attori sociali fino ad oggi coinvolti, un centinaio di organizzazioni, insieme a esponenti degli altri paesi europei, stanno lavorando per organizzare un Forum, a Roma, nei giorni precedenti il 25 marzo, che intorno a parole d’ordine comuni permetta di confrontarci su cosa l’Europa potrebbe e dovrebbe essere, sul modo migliore per far uscire l’Unione dall’angolo asfittico in cui si è chiusa, sulle sfide che ci attendono per far tornare il popolo europeo padrone del proprio comune destino. Il Forum si concluderà con una manifestazione per far arrivare ai capi di Stato e di governo le nostre proposte di cambiamento. Partiamo da una certezza: la nostra Europa è un sogno, la loro un incubo di cui ci vogliamo liberare.
Ritorno ai diritti
L’austerity ha esasperato le disuguaglianze, creato precarietà, destrutturato il modello sociale europeo, bloccato gli investimenti economici. Ma l’Europa è terra di diritti, welfare, cultura, innovazione. L’Europa dovrebbe aver appreso dalle tragedie che l’hanno attraversata i valori dell’accoglienza, della pace, dell’uguaglianza, della convivenza. Ci sono grandi emergenze che hanno bisogno di un’Europa innovatrice e costruttrice di ponti, come diceva Alex Langer. La battaglia contro i cambiamenti climatici, soprattutto se il nuovo corso di Trump cambierà in peggio le politiche dell’amministrazione Usa, deve vedere nell’Europa un attore decisivo, capace di giocare d’anticipo e di ottenere così non solo risultati indispensabili sul piano diplomatico, ma anche di aprire nuovi fronti all’industria, all’occupazione, all’innovazione tecnologica.
Nessun futuro sarà sostenibile se non sarà anche desiderabile. La questione del lavoro e del nuovo welfare, soprattutto per i giovani, è un altro banco di prova per ridurre le disuguaglianze e aprire prospettive di benessere per tutti. E tra i giovani ci sono anche i tanti ragazzi africani e asiatici che qui da noi cercano una speranza di vita. Non servono muri e galere per governare le migrazioni. La definizione di “rifugiato” della Convenzione di Ginevra è ormai inattuale, serve un diritto d’asilo europeo che riconosca protezione a chi fugge da guerre, da povertà, da desertificazione e disastri ambientali. Che riconosca libertà di movimento.
Nelle città, vera carta identitaria europea, si gioca gran parte della capacità di cambiamento dell’Europa: dall’innovazione sociale, per la coesione da costruire con le nuove comunità di stranieri, a quella abitativa, con un’edilizia più sicura e che risparmi risorse energetiche e idriche; dall’innovazione culturale, con la rigenerazione del ruolo sociale e comunitario dei quartieri, a quella tecnologica e degli stili di vita, per riconquistare una reale libertà di movimento negli spostamenti urbani.
L’Europa è malata, ma noi di Legambiente non vogliamo che si sfasci, perché è la nostra speranza e il nostro futuro.n
* presidente nazionale di Legambiente

 

Source: lanuovaecologia.it

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