Nella società dell’antica Grecia le competizioni sportive erano di grande importanza: nel periodo che va dal VII fino al IV sec a.C. l’esercizio fisico era fondamentale sia nella vita privata, che nella dimensione pubblica – e lo era anche per le donne. Sappiamo, ad esempio, che al tempo le spartane si mantenevano in esercizio perché si credeva che aiutasse ad avere figli forti e in salute (motivo per cui erano incoraggiate a cimentarsi in attività sportive); in altre città del Peloponneso – come ad Atene – le donne potevano anche partecipare agli eventi sportivi. Ma se si parla di Olimpiadi le cose cambiano: in questa circostanza, le donne non potevano partecipare alle gare né tantomeno assistere ai giochi come spettatrici (c’era la pena di morte per le donne sposate che si fossero avventurate all’interno dello stadio). Solo le proprietarie dei cavalli potevano avvicinarsi ai luoghi della gare.
Queste limitazioni, però, non impedivano alle ragazze greche di organizzare – proprio ad Olimpia – gare apposite che le vedevano protagoniste, una sorta di olimpiade al femminile. Si trattava di una corsa riservata alle donne nubili in onore della dea Era, e proprio per questo la manifestazione prendeva il nome di giochi Erei. Le giovani disputavano le loro gare nello stadio olimpico, con i capelli sciolti, e indossando un abito lungo fino al ginocchio (detto chitone) che lasciava scoperti il seno e la spalla destri. Così vestite, gareggiavano in un percorso di poco più breve rispetto a quello degli uomini. In palio, esattamente come nel caso dei giochi maschili, oltre all’onore c’era della carne di vacca sacrificata alla dea Era e una corona della pianta sacra alla divinità – nel caso della città di Olimpia, di ulivo selvatico.
Pochissime fonti raccontano la storia di queste competizioni di atletica al femminile (motivo per cui alcuni studiosi sono portati a dubitare della loro esistenza); la testimonianza più nota è quella di Pausania, che ne parla nella sua Periegesi della Grecia, scritta attorno al 175 a. C. Secondo la sua versione, la manifestazione era stata organizzata la prima volta dal Re Pelope e della principessa Ippodamia, in onore delle loro nozze: Pelope organizzò i giochi in onore di Zeus, mentre Ippodamia li dedicò alla dea Era. E sarebbe stata proprio la principessa a istituire il gruppo delle sedici donne che avrebbero dato il via alla prima edizione dei giochi – che vide vincitrice, sempre secondo il mito, Chloris l’unica sopravvissuta della famiglia dei Niobidi, sterminata da Apollo e Artemide. La mancanza di altre testimonianze a sostegno dell’esistenza dei giochi Erei ha portato molti studiosi a ritenere che, nella società del tempo, non fossero particolarmente considerati.
Eppure, in qualche modo, è anche grazie a quelle prime e intraprendenti, atlete, se oggi abbiamo donne impegnate nello sport, protagoniste dei Giochi Olimpici tanto quanto i colleghi maschi: la ginnasta Larisa Latynina, ad esempio, detiene il secondo posto tra gli atleti singoli che hanno vinto più medaglie olimpiche durante i giochi (per un totale di 18) e la partecipazione femminile è sempre più alta. Si può dire, dunque, che lo spirito che ha animato le donne dell’antica Grecia è una prima testimonianza dell’incredibile tenacia e la voglia di mettersi in gioco, che contraddistingue ancora le atlete di oggi.
Source: freedamedia.it