La scena, archetipo di più generazioni, continua ad essere ripetuta ed imitata. Un divano, una coperta ed una bella vaschetta di gelato. Nella testa una tormenta di nuvole e la sensazione che quel piccolo e morbido rifugio sia l’unico posto in cui terremoti, bombe, attentati ed altre catastrofi emotive non possano scalfirci.
Il sapore freddo e dolce del gelato, a confronto con il tepore della coperta, fa da inchiostro per la stesura del primo debole tentativo di riconciliazione con il mondo. Una zattera a bordo della quale identificare e ricalibrare tutti gli schemi che hanno rischiato di essere minacciati. Schemi che, siano essi tanti o pochi, sono tutti fondamentali.
Il freddo è uno degli antinfiammatori ed anestetici più potenti che conosciamo. Quando abbiamo i piedi freddi, è come se non li sentissimo. Quando abbiamo una distorsione muscolare, la prima cosa che ci raccomandano è di mettere del ghiaccio sulla zona infiammata, così da evitare che vi si concentri ancora più sangue.
Prendere le distanze, uscire da quello stadio di “calore” è una scelta che ci permette di frenare una corrente di pensieri incessanti che non fanno altro che aumentare la grandezza e il dolore della nostra ferita emotiva. Uscire da situazioni conflittuali che ci travolgono con le dinamiche della loro atmosfera se non altro impedirà di farci dire ciò che non vorremmo dire, almeno non con la rabbia e il poco tatto tipico di queste situazioni estreme.
Se ripensiamo a tutte le parole che abbiamo detto e delle quali ci siamo poi pentiti, probabilmente ci renderemo conto che molte sono state dette a sangue caldo, nel bel mezzo dell’inerzia appena citata. Sono la rabbia o la tristezza che momentaneamente ci rendono ciechi ed annullano ogni forma di affetto dal nostro modo di esprimerci.
Se manteniamo troppo a lungo il ghiaccio su una distorsione muscolare, il sangue cesserà di scorrere e il tessuto non riceverà i nutrienti necessari per cicatrizzarsi. Con le ferite emotive succede lo stesso: il freddo del gelato è ottimo per il giorno seguente, per le prime ore, dopo di che, è il contatto umano, caldo e morbido, a poterci aiutare a curare la ferita.
Persino il contatto con noi stessi può essere utile, anche solo uno sguardo dentro di noi, affrontando quel lato che da troppo tempo ignoravamo per paura. È così: l’eccessivo freddo gonfierà le preoccupazioni e la tristezza, formando un livido. A questo punto, sarà molto più difficile cacciarle. Ne consegue l’importanza di avere un circolo sociale attivo che faccia parte del sistema immunitario delle nostre emozioni.
La nostra mente, in tutto il suo splendore e la sua magia, funziona in questo modo. Dispone di alcuni meccanismi adatti ad essere utilizzati in uno spazio di tempo limitato – come la negazione di fronte alla perdita di un essere amato – ma che si ritorcono contro di noi se minacciano di radicare per sempre in noi. Come nel caso del ghiaccio, dunque, qualsiasi momento di disconnessione con la realtà deve avere una data limite, così che i benefici sul breve periodo non vengano poi miseramente annullati.
Abbiamo usato la metafora del pomeriggio in pigiama, con divano e gelato, ma esistono vie di fuga meno dirette che adoperiamo per allontanarci da quello che ci circonda, come le lunghe passeggiate in solitaria o l’irascibilità. In realtà non siamo arrabbiati, cerchiamo soltanto di evitare che qualcuno ci riporti con forza di fronte ai fatti dai quali vogliamo scappare.
Non abbiamo intenzione di prendercela con gli altri, ed è per questo che se accade, ci sentiamo in colpa. Perché non sappiamo come altro fare, nessuno ci ha insegnato a trovare un nostro spazio e spesso, nel tentativo di farci da parte, gli altri credono che il nostro desiderio sia, in realtà, opposto. Per questo motivo, l’intelligenza emotiva risiede nelle persone acute, perché è una questione di sfumature e di regole non dette che potrebbero facilmente spezzarsi. Utilizzatela a vostro favore e, quando il gelato finisce, sappiate che è ora di tornare al mondo, non di prenderne un altro.
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Source: https://lamenteemeravigliosa.it
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