Le cose che non voglio perdere.

Ci sono cose che non mi posso permettere di perdere, cose che se perdessi si porterebbero via anche me.

Non voglio, non posso perdere il silenzio.

Il silenzio trabocca di suoni, immagini, parole, più di quanto qualsiasi discorso potrà mai fare. La parola non avrebbe alcun valore se il silenzio non ne scandisse i chiaroscuri. Esso permette di pensare e di abbandonare l’incessante bisogno di parlare senza tralasciare quello di esprimere. Senza esprimere, le idee non viaggerebbero e rimarrebbero immobili e neonate, come piccoli fiori calpestati. La verità è che il silenzio è assordante, e la quiete può essere molto violenta, spingendo a pensare per davvero, faccia a faccia con se stessi.

Non voglio perdere le strade affollate.

È una sorta di completamento reciproco, questo. Persone come me, che amano sia la solitudine sia lo stare in compagnia, necessitano di momenti in cui ci si sente accolti nella più totale inconsapevolezza. Il passante può capire un sentimento in modo puro ed imparziale, poiché la sua mente non è condizionata dalla partecipazione. Mi vedo così ingrata camminando fra le strade immaginando di essere altrove. Due sguardi che si incrociano senza conoscersi e si raccontano tutta una vita in una frazione di secondo sono uno spettacolo incongruo e meraviglioso.

Non vorrei mai perdere le pagine.

Almeno quelle usate e riusate, non dovrebbero mai finire fra mille altre, sullo scaffale di una libreria, morire per noia. Non è il libro in sé a stregarmi, bensì le pagine, la carta. Ogni volta che sfoglio un libro c’è quel suono, quel preciso suono che le pagine fanno quando accarezzandole le si gira. So che, mentre il mondo svanirà, quel suono sarà sempre presente, come una voce, un richiamo che mi riconduce al principio.

Non voglio perdere l’ombra.

L’ombra non è buio, ma luce. Mostra le cose così come sono, inalterate. L’ombra è uno specchio incapace di mentire ed illumina laddove la luce nasconde. Le ombre delle cose sono le cose stesse nella loro forma più pura, uno spettro che nella sua inconsistenza nasconde il chiarore fra le tenebre. Nessuno può dividersi da essa e non credo ciò sia casuale. Le ombre, così opportuniste ed abbandonate, che non amano ma seguono strisciando, possono rivelarsi l’albore della vita che verrà.

Non voglio perdere, non posso perdere le panchine vuote.

Sono la testimonianza della realtà volubile delle cose. Verniciate, abbandonate, vuote. Le persone vi si siedono, prese da pensieri di tutti i giorni, si alzano e molto spesso non vi ritornano mai più. È la panchina la narratrice, la spettatrice immutabile di quel via vai di volti. Se potesse parlare racconterebbe vite intere, non farebbe errori. Le panchine sono confidenti che nessuno ringrazia a dovere.

Non vorrei mai perdere le cicatrici.

Codici anonimi creati dal destino, indecifrabili perfino per chi ne soffre. Cicatrici mentali, mi dico. Ma ne ho bisogno per ricordarmi ciò che ho vissuto. Non necessito della memoria quando la mia storia è scritta dentro di me, cucita sulle mie illusioni più grandi. Le cicatrici sono limiti da superare, tacche scritte su una candela che si scioglie, scala a pioli.

Non voglio perdere i viaggi in treno.

Un viaggio così improbabile come quello non fatto con le proprie gambe. Il treno è la vita che tenta di mostrarsi a noi umani sotto forma di viaggio che non ha destinazione. Binari che come il destino si impongono e decidono cosa è meglio per noi, impedendoci di deragliare. Binari a senso unico o mutabili, binari immobili mentre il treno, la vita, corre. Rotaie così sottili ma che sostengono un peso così imponente. I passeggeri assistono a tutto ciò affidandosi fiduciosi al conducente. Fermate questo treno, smettete di pensare.

Riconosco che ciò che non voglio perdere potrà sembrare tutto fuorché rilevante, ma ciascuno ha la capacità di dare un peso diverso a qualsiasi cosa veda, un peso che differirà sicuramente da quello dato dagli altri.

In questo mare di gente, io do importanza a cose che per altri risulteranno più che inesistenti.

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Redazione