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Le basi per imparare a gestire i propri soldi

Motoko Hani (1873–1957) è stata niente di meno che la prima giornalista donna del Giappone.
Fondò la prima scuola femminile privata che promuoveva la libertà e l’autocoscienza delle donne — Jiyû Gakuen — e, come giornalista, nel 1903 creò la prima rivista femminile del Giappone, tuttora pubblicata (Katei no tomo, “La compagna di famiglia”, che diventa Fujin no tomo, “La compagna della donna” nel 1906) .

Attraverso pagine della sua rivista Motoko Hani incoraggiava le sue lettrici ad assumere il controllo dei conti di casa, prendendo nota di entrate, spese e risparmi.
Nel 1904 decise di pubblicare il primo Kakebo della storia, Il libro dei conti di casa: il successo fu enorme e di lunga durata, lo strumento si diffuse tra tutte le classi sociali e nacquero Club del Libro dedicati alla condivisione di dati e risultati.
Così ogni anno la nuova edizione del Kakebo si arricchisce dei consigli della comunità che condivide le proprie soluzioni. È passato più di un secolo, ma ancora oggi crogiolarsi nella situazione di dover chiedere soldi a qualcuno – mamma, papà, nonni, mariti – per comprarsi qualcosa non è una buona idea, anche e soprattutto se i soldi sono pochi. Meglio imparare a gestirli con un pizzico di furbizia.

Vi siete mai chieste quanto spendete all’anno in assorbenti? In libri? In uscite serali? In vacanze? Ok, ok, no panic, il punto non è fare un cazziatone, il punto è rendersi conto che sapere come spendiamo i nostri soldi è un’informazione che ci dà un potere enorme, a cui non possiamo rinunciare.

Innanzitutto, è sempre importante aumentare il livello di consapevolezza delle proprie scelte. Non si tratta di colpevolizzare chi spende e premiare chi risparmia, ma di mantenere alto il controllo della situazione. Altrimenti è un attimo che dipendi da qualcuno che sa gestire i soldi meglio di te.

Grazie a questa consapevolezza è poi facile rendersi conto di quali spese possono essere tagliate senza troppi traumi, ma si scoprono anche cose dalle implicazioni molto importanti di cui è il caso di essere al corrente. Per esempio, si può misurare come la Pink Tax impatta sulla vita di tutte noi. La pink tax è la tassa rosa sui prodotti targettizzati per noi donne – quasi avessimo bisogno di una guida visiva per capire cosa fa per noi  – come assorbenti, deodoranti, rasoi per la depilazione, shampi e bagnoschiuma: secondo una ricerca svolta in Inghilterra, basta che questi prodotti abbiano una confezione “femminile” per costare il doppio rispetto alla versione “maschile”. Per questo in redazione abbiamo provato a capire quanto costa essere donna a Milano, Madrid e Londra.

Insomma, nel 2018 non si scherza, dobbiamo diventare le padrone incontrastate del nostro portafogli, poco importa se è pieno o vuoto.

IL METODO KAKEBO

Il metodo Kakebo di Motoko Hani è sicuramente un ottimo inizio. Per capire bene di che cosa si tratta è utile pensare a un’agenda che scandisce giorni, settimane e mesi non attraverso cose da fare e appuntamenti, ma tramite entrate e uscite personali.

Il principio è molto semplice: si parte dal calcolo della differenza tra entrate e uscite fisse, per sapere quanto denaro si ha disposizione in un mese.
Chi lo utilizza registra ogni giorno il tipo di spesa e l’importo dentro alla relativa casella, per poter calcolare a colpo d’occhio il totale del giorno. Alla fine della settimana si sommano i totali dei singoli giorni, mantenendo l’importantissima distinzione per categorie di spesa.

Sembra facile individuare le categorie di spesa, ma è interessate notare come rispecchiano moltissimo la mentalità di chi lo usa e i valori sociali in cui crede. I termini della spese essenziali di una persona – spese di prima necessità diciamo – sono cambiati molto negli ultimi anni, per esempio dal Kakebo 2016 le spese per gli animali domestici rientrano tra quelle indispensabili e non in quelle optional: gli animali sono considerati a tutti gli effetti membri della famiglia.

Un aspetto molto importante del Kakebo è che non si tratta tanto di un libro quanto di un quaderno in cui scrivere in prima persona, ed è importante perché funziona come un interlocutore con cui fare i conti: ci costringe a confrontarci con noi stessi. 

Ci si può anche costruire il proprio originale quaderno dei conti in autonomia – le appassionate di agende, planner e washi tape lo sanno bene – o utilizzare qualunque app che abbia lo stesso scopo. Non conta il supporto, conta avere obiettivi di risparmio chiari e un metodo per raggiungerli. 

LA REGOLA DEL 50/20/30

Un metodo piuttosto semplice ed efficace è la regola del 50/20/30 di Elizabeth Warren, senatrice degli Stati Uniti. In pratica, se x è il totale dei soldi che potete spendere in un mese, per rendervi conto se state spendendo troppo, considerate che:

  1. il 50% di x dovrebbe essere destinato alle spese essenziali: affitto, bollette, spesa, trasporto da casa al lavoro, insomma tutte le spese di cui proprio non si può proprio  fare a meno
  2. il 20% di dovrebbe essere la quantità di soldi che mettiamo da parte, per farci quello che vogliamo (risparmiarli per costruire un piccolo tesoretto in caso di bisogno o – perché no? – investirli). In caso di debiti, bisogna contare in questo 20% anche la progressiva restituzione del debito (la voce è risparmio/investimento/debito).
  3. Il restante 30% è da destinare alle spese più flessibili, ma non meno importanti, che sia chiaro! Per esempio si contano qui aperitivi, cene, concerti, vestiti, cinema, vacanze etc.

Come dite? Sì, certo, internet è da considerare una spesa essenziale.

LA TEORIA DEI CONTI MENTALI

Avete capito quanto sono importanti le categorie di spesa. Prima di stabilire le vostre, il consiglio è di dare un’occhiata al libro della psicologa Claudia HammondIl metodo del risparmio intelligente, un saggio che mette a nudo in modo provocatorio ma anche utile il nostro rapporto con i soldi.

Hammond parte dalla storia di due musicisti, Jimmy Cauty e Bill Drummond, in arte The KLF, che nel 1994 hanno bruciato un milione di (vere) sterline in biglietti da cinquanta e filmato l’incendio in un’opera di video arte dal titolo Watch the K Foundation Burn a Million Quid (in italiano: Guarda la K Foundation bruciare un milione di sterline). In poco più di un’ora mandarono in fumo l’intero capitale che avevano guadagnato con la loro musica, convinti che l’incendio fosse una forma di arte concettuale.

Il pubblico si ribellò al gesto di The KLF e il duo subì critiche pesantissime. Secondo Hammond, l’indignazione che genera il video deriva dal fatto che tutte le potenzialità intrinseche nel denaro – per loro due, ma anche per tutti noi – sono andate perse. E proprio in questo risiede lo straordinario potere che il denaro ha sulle nostre menti: può diventare qualunque cosa.

“Questo perché noi siamo esseri profondamente psicologici – è la nostra mente a renderci ciò che siamo – e il denaro è una costruzione mentale: non esiste al di là dell’idea che abbiamo di esso, ma da esso dipendiamo per la maggior parte delle cose che ci servono per vivere.”

Nel capitolo intitolato Borsellini Mentali, Hammond racconta uno degli esperimenti mentali più famosi dello psicologo premio Nobel Daniel Kahneman, un classico dell’economia comportamentale. Riguarda una donna che ha speso centosessanta dollari per due biglietti teatrali. Non vede l’ora di andare a vedere lo spettacolo, ma quando arriva a teatro non riesce a trovare i biglietti. Cerca nelle tasche. Niente. Quasi si sente male all’idea della somma ragguardevole che ha buttato. E lo spettacolo? Spenderà altrettanti dollari per ricomprare i biglietti o rinuncerà e tornerà a casa?
Quando Kahneman testò questo scenario su un campione di persone negli anni Ottanta, quasi nove su dieci immaginarono che avendo perso i biglietti la donna avrebbe rinunciato allo spettacolo. Ma se lo scenario fosse stato leggermente differente?

Stavolta la donna non ha preso i biglietti in anticipo, ma si è portata dietro centosessanta dollari in contanti, con l’intenzione di comprarli al botteghino. Però quando arriva al teatro apre la borsa e scopre che per qualche motivo non ha più i soldi. Userà la carta di credito per comprarli?

In questo scenario più della metà delle persone intervistate da Kahneman cambiarono la loro risposta in senso affermativo. E allora come mai è accettabile pagare di fatto due volte gli stessi biglietti nel secondo caso ma non nel primo?

L’ipotesi proposta dall’economista Richard Thaler, famoso per la sua teoria della cosiddetta “spinta gentile” (nudge), è che noi abbiamo diversi “conti mentali” (mental accounts). Assegniamo differenti caratteristiche e scopi a differenti porzioni del nostro denaro. “Spendere soldi” è una cosa diversa dal risparmiarli. Quelli che vinciamo a una scommessa sono diversi da quelli che guadagniamo. Queste contabilità mentali non sono in genere organizzate nello stesso modo dei veri conti bancari. Non facciamo dei depositi precisi e consapevoli in essi, né teniamo d’occhio i loro bilanci per evitare gli scoperti. Anzi, quasi sempre la maggior parte di noi ne è a malapena cosciente. Eppure possono esercitare una notevole influenza sul modo in cui utilizziamo il denaro.

Ecco come Thaler spiega i differenti comportamenti negli esperimenti appena descritti: i biglietti per lo spettacolo provengono da un conto mentale dedicato al divertimento e fare due volte la stessa spesa, prendendo i soldi da quel conto dopo la perdita dei biglietti, appare eccessivo. Ma la perdita del contante è diversa: esso risiede in un conto mentale “generico”, e in quello c’è ancora denaro da spendere. Per lui questo spiega perché così tanta gente sostiene che la donna dovrebbe comunque ricomprare i biglietti se ha perso il denaro contante e non se ha smarriti.

Thaler coniò per la prima volta l’espressione “conti mentali” negli anni Novanta. Ma anche altri ricercatori hanno descritto concetti simili, e se i conti mentali non sono in sé una cosa giusta o sbagliata, è importante conoscerne il meccanismo psicologico per restare lucidi quando decidiamo di spendere o di non spendere i nostri soldi.

Per esempio, a me personalmente ha aiutato a capire che sono irrazionalmente attaccata all’idea di possedere un automobile, al contrario del mio fidanzato, che sostiene che il car sharing sia molto meglio: il motivo è che io sono influenzata dalla generazioni precedenti – diciamolo pure, dai miei genitori – nel pensare all’automobile come una spesa essenziale, mentre decidere ogni singola volta che voglio spostarmi in macchina di noleggiarne una mi sembra una spesa di lusso. Di conseguenza, anche se risparmierei parecchio nell’arco di un anno, ho la sensazione che il car sharing  equivalga a prelevare troppi soldi dal conto dei trasporti quotidiani. Se riesco a uscire dai miei borsellini mentali, è chiaro che per il tipo di utilizzo che facciamo noi della macchina possederne una non conviene affatto. Grazie, Claudia Hammond!

Source: freedamedia.it

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