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L’agricoltura biologica può sfamare l’intero pianeta. Ecco la conferma

 

Fertilizzanti arrivederci, quindi, e nessuna perdita catastrofica delle rese: ne è convinto un team internazionale guidato da un ricercatore del Research Institute of Organic Agriculture (FiBL) di Frick, in Svizzera, che in una nuova ricerca avanza l’ipotesi che la conversione del pianeta all’agricoltura biologica permetterebbe di sfamare 9 miliardi di persone entro la metà del secolo.

Nello studio vogliono dimostrare che una conversione del 100% all’agricoltura biologica richiede sì più terreno rispetto all’agricoltura convenzionale, ma riduce l’uso di fertilizzanti sintetici e di pesticidi, promuove le rotazioni delle colture e si concentra sulla fertilità del suolo e sui cicli nutrizionali chiusi. E non solo: in combinazione con le riduzioni di spreco alimentare, con la riduzione della produzione e del consumo di prodotti animali, l’utilizzazione del suolo nell’agricoltura biologica rivoluzionerebbe il settore agricolo su scala mondiale, rendendolo sostenibile e molto più sano.

Cos’è l’agricoltura biologica

Si tratta di un sistema di produzione agricolo col quale si mira a ridurre il più possibile l’impatto ambientale della stessa attività agricola, facendo in modo che la terra venga coltivata nel rispetto dei suoi cicli naturali e in maniera eco-sostenibile, e con una grande attenzione anche al rispetto degli animali, dell’aria e dell’acqua.

L’agricoltura biologica, infatti, si basa anche sulla salvaguardia della biodiversità, ossia della presenza di specie e varietà differenti di piante e animali sul territorio.

Tra i concetti fondamentali dell’agricoltura biologica vanno ricordati anche la stagionalità dei cibi, ci si impegna, cioè, a ottenere solo prodotti di stagione, e la cosiddetta filiera corta (“a chilometri zero”), con cui il raccolto viene messo sul mercato direttamente dal contadino o, in alternativa, dai rivenditori presenti nelle vicinanze dei luoghi di produzione.

A essere utilizzati per fertilizzare i terreni, inoltre, sono i materiali organici come il letame, mentre si mettono in pratica tecniche agricole tradizionali, come la rotazione delle colture, che prevede di lasciare periodicamente a riposo una parte del terreno coltivato. Altra tecnica usata dai contadini biologici è la consociazione: si interrano in parallelo piante sgradite ai parassiti della pianta accanto per garantire la sopravvivenza e il benessere dei terreni coltivati.

Infine, l’agricoltura bio bandisce ovviamente l’uso di sostanze sintetiche e pesticidi e l’uso di organismi geneticamente modificati (OGM). In caso di malattie, gli agricoltori biologici usano sostanze vegetali, animali o minerali, come estratti di piante, insetti predatori di parassiti, farina di roccia o minerali naturali, che correggono chimicamente il terreno. Si ricorre all’uso di medicinali tradizionali molto raramente e solo nei casi previsti dai regolamenti europei.

Gli obiettivi dello studio svizzero

Lo studio parte da una simulazione che tiene conto di diversi scenari climatici e delle proiezioni che l’Onu ha sull’aumento demografico. Si ritiene che entro il 2050 la produzione agricola dovrà aumentare ulteriormente del 50% per alimentare la popolazione globale proiettata a oltre 9 miliardi di individui. Per questo risulta fondamentale ridurre gli impatti ambientali negativi dell’agricoltura, garantendo nel contempo la stessa quantità di cibo.

In base a questi calcoli, i ricercatori sostengono che i 9 miliardi di persone sul pianeta nel 2050 potrebbero essere alimentati anche meglio di prima, con una serie di accorgimenti: unendo produzione biologica e una dieta vegetariana (diminuendo, quindi, la produzione di carne), riducendo lo spreco alimentare e tornando ai metodi tradizionali di fissazione dell’azoto nel suolo.

Le terre agricole, convertendo tutto il suolo da convenzionale a biologico, aumenterebbero dal 16 al 33% per soddisfare la domanda, con conseguente crescita dell’erosione. Fatto che potrebbe essere un problema, perché cambiare l’uso del suolo a foreste, cerrado o torbiere causerebbe un aumento delle emissioni. Servirebbero poi grandi cambiamenti nei sistemi agricoli per moderare l’impatto, come la coltivazione di legumi per reintegrare l’azoto nel terreno (i benefici, infatti, vengono meno se si misurano le unità prodotte e non le aree coltivate, per cui usare concimi azotati di sintesi potrebbe ridurre i nutrienti nel terreno, anche se seminato a legumi).

Di contro, senza cambiare l’estensione dei terreni, si potrebbe risolvere il problema con una conversione solo parziale delle colture, 60% biologico e 40% convenzionale, sempre a patto che vengano dimezzati gli sprechi e ridotti i terreni destinati alla produzione di mangime. Al fondo della filiera, ci sarebbe sempre, secondo gli studiosi, una riduzione sostanziale del consumo di carne: in termini di introito proteico, la quota di proteine animali dovrebbe calare dall’attuale 30 all’11%.

Insomma, per ora si tratta solo di numeri e calcoli. L’ipotesi avanzata dal team internazionale di ricerca ha fondamenti scientifici e dimostra che si può fare.

Secondo dati Ispra, per ora il Paese del mondo dove l’agricoltura biologica è più diffusa è l’Australia, con un totale di circa 17,3 milioni di ettari (circa il 35% della superficie biologica mondiale). In Unione europea i terreni coltivati con metodi bio sono di circa 10milioni di ettari. I produttori europei del biologico sono 330 mila. Il regolamento di produzione e commercio di prodotti biologici è presente in 82 Paesi del mondo. In Italia sempre più agricoltori scelgono il biologico, ma siamo ancora in fase embrionale.

I suoli organici tendono a mantenere le proprietà biologiche, fisiche e chimiche nel corso del tempo, mantengono la produttività e garantiscono la sicurezza alimentare a lungo termine. La diffusione dell’agricoltura biologica va incoraggiata: solo in questo modo riuscirà anche a sfamare l’intero Pianeta.

 

Source: greenme.it

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