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La Tv si Libererà Mai del Maschilismo?

Nell’ultimo periodo ho iniziato a soffermarmi sempre di più sulle rappresentazioni di genere offerte dalla nostra televisione e mi sono reso conto che le donne in tv sono ancora ingabbiate in ruoli limitanti e spesso di secondo piano. La televisione per molti aspetti sembra ancora farsi promotrice di una cultura sessista fatta di stereotipi e visioni distorte. Basta farsi un giro veloce su Google e i dati si trovano facilmente: secondo il monitoraggio dei programmi Rai realizzato nel 2016 da Isimm Ricerche-Università Roma Tre, le figure femminili presenti nella programmazione Rai sono il 37,8% del totale, mentre le figure maschili sono circa il 62,2%. Va così in tutti un po’ in tutti i settori del palinsesto monitorati e addirittura nei telegiornali il numero di donne scende al 35,5% del totale, mentre nell’intrattenimento sale al 41,0%.

E il problema in realtà non è solo la quantità, ma anche la qualità della presenza femminile. Dal ruolo di semplice annunciatrice, all’immortale figura della valletta, passando per il modello della dama di compagnia e per le varie declinazioni delle veline: il prototipo della “bella e muta” perdura ancora e lo si ritrova ancora sempre e solo in versione femminile. Sembra che ancora oggi sia del tutto normale pensare di usare le donne come delle cornici gradevoli, delle presenze da confinare al ruolo di hostess, figuranti, ragazze immagine, anche e soprattutto grazie al leitmotiv sensuale o addirittura erotico, ricercato per accalappiare l’attenzione maschile.

Elisa Giomi, professoressa di Sociologia della comunicazione, Gender e Media all’Università di Roma Tre, in riferimento al monitoraggio dei palinsesti di cui parlavamo poco fa ha commentato:

Continua in tv la dicotomia della santa e della puttana. E questo è un cortocircuito da spezzare, perché ci stiamo facendo del male. Il 90% delle persone che appaiono in virtù per la loro bellezza e sex appeal – benché il totale sia piuttosto esiguo – sono donne, e sono donne quasi il 70% di coloro che appaiono per il proprio ruolo dentro la famiglia.

E c’è anche una questione anagrafica, ovvero di culto della giovinezza. Nei programmi monitorati nel 2016 oltre il 59% delle donne rappresentate aveva un’età compresa tra i 19 e i 49 anni.

Per la donna insomma, per esserci, basta esser bella, o meglio: l’interesse per le altre qualità passa in secondo piano. Così è sempre stato e così continua ad essere, perché lo sguardo che domina in tv è comunque quello maschile. Difficilmente gli uomini vengono presentati nel ruolo di belli e silenziosi: se qualche eccezione c’è, come dice il detto, non può che confermare la regola. E la tv è piena di uomini francamente poco avvenenti, mandati in video evidentemente per doti diverse da quelle estetiche.

Alle donne di solito vengono affidati programmi di cucina, gossip, lifestyle o benessere e spesso in fasce orarie con un pubblico a maggioranza femminile, mentre per le occasioni importanti, ufficiali o tattiche, al timone facilmente ci si troverà un uomo. Un esempio? La fascia preserale di Rai e Mediaset, ritenuta strategica e caratterizzata da un pubblico a più forte presenza maschile rispetto al pomeriggio. Tutti i giochi e i quiz del preserale sono condotti sempre da uomini. Lo schema si ripete: gli uomini guardano solo ciò che li rappresenta e in cui si riconoscono, le donne guardano tutto. Si adattano, si adeguano – sono state abituate a farlo – vengono inglobate nelle preferenze maschili. Anche quando le donne arrivano ai vertici dello show business i programmi che scrivono e conducono spesso non sono propriamente dei modelli di emancipazione femminile, perché in una cultura modellata su immagini e forme sessiste è chiaro che il mainstream quello vuole e quello riproduce.

Qualche anno fa è diventato molto famoso, in rete e non solo, il documentario Il corpo delle donne. Era il 2009 quando venivano diffuse quelle immagini che mostravano in sequenza, una dietro l’altra, le scene dei corpi femminili trasmessi dalla televisione italiana a partire dagli anni ’80. Seni, glutei, gambe insistentemente ripresi dalle telecamere e proposti di continuo a milioni di italiani (di tutte le età) perfettamente abituati a quelle rappresentazioni ipersessualizzate e spesso umilianti. Il corpo delle donne era firmato dall’attivista e scrittrice Lorella Zanardo, da Marco Malfi Chindemi e Cesare Cantù, e denunciava la cancellazione della reale – diversificata – identità delle donne, che da anni avveniva sotto gli occhi di tutti.

Gli stereotipi in televisione passano in realtà ancora oggi attraverso l’abbigliamento e l’esposizione del corpo: solo per le donne è più che normale apparire con certi outfit, ovvero praticamente in costume da bagno, in bikini o poco più. Il corpo delle donne, come dice Zanardo nel suo documentario, è ammantato da “un’estetica da strip club”. Inquadrature strategicamente studiate e sketch che accontentano i desideri maschili: tutto questo oggi è forse un po’ meno sfacciato di qualche anno fa, ma è un linguaggio che ancora influenza e modula la scrittura e la regia televisiva.

Ed è un linguaggio che offre non pochi spunti paradossali, come nel caso delle pubblicità che usano immagini con riferimenti appetibili per i maschi per attirare un pubblico femminile. Di tutto questo scenario non sempre è facile rendersi conto, e la ragione secondo Zanardo è presto detta:

Per un processo di assuefazione. Abbiamo iniziato a vedere queste immagini dall’inizio degli anni ’80, spalmate in diverse reti durante tutto l’arco della giornata, entrando così nell’universo di riferimento italiano e diventando normali.

C’è poi la questione della chirurgia estetica diventata canone. L’umanità femminile ritratta in televisione sembra mettere in scena una gara contro il tempo. In molti programmi vige un’omologazione all’insegna della rimozione segni della maturità: dai volti femminili – soprattutto da quelli – viene cancellata ogni forma di vulnerabilità. Non che ci sia qualcosa di sbagliato nella chirurgia estetica in sé, ma come dice Zanardo: “il problema vero è il non essere in grado di riconoscere più i propri bisogni, condizione imprescindibile per potere essere “autentiche””. Ovvero per poter scegliere se e come modificare la propria immagine.

Nel dibattito su questo tema c’è chi punta il dito contro gli sponsor. L’immagine delle donne in televisione continua a essere legata a stereotipi anche per colpa della pubblicità: ruoli femminili nuovi e più moderni non farebbero crescere gli introiti pubblicitari. Ci sarebbero quindi anche ragioni di interesse dietro la scelta di proporre in tv il più delle volte ruoli femminili chiamati a fare da contraltare al protagonista maschile, o comunque immagini di donne legate a vecchi stereotipi e ormai lontane dalla realtà. Ma è evidente che tra mercato e società c’è un rapporto difficile da scindere. La tv tende a essere meno progressista di quel che dovrebbe perché deve fare i conti coi gusti e la sensibilità del pubblico. Educare, cambiare le cose può significare esporsi al rischio dell’impopolarità, il che suscita il timore di non piacere abbastanza.

È probabile che le cose lentamente, almeno in parte, stiano cambiando, ma il processo di smantellamento di ciò che abbiamo a lungo considerato normale ha bisogno di tempo e va alimentato in ciascuno di noi. È importante allenare il nostro sguardo a rilevare le tante asimmetrie ancora presenti, raccontandole, parlandone, affinché diventi sempre più chiaro e palese che stereotipi e ruoli non sono sono qualcosa di immutabile o caduto dal cielo. Sono frutto di scelte, e le scelte quasi sempre offrono delle alternative.

Source: freedamedia.it

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