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La tavola delle cosche: l’agroalimentare è in mano alla mafia (#Agromafie2017)

16 marzo 2017

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Criminalità organizzata in agricoltura non solo al Sud Italia, ma anche al Nord, due delle tre città nella top ten del rapporto elaborato da Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità nell’agricoltura e sul sistema agroalimentare, sono nella parte settentrionale del Belpaese.

#Agromafie2017 è stato presentato a Roma e mostra ancora una volta come l’agricoltura e il sistema agroalimentare in generale, siano per le mafie uno dei business più remunerativi. Rispetto allo scorso anno, il volume d’affari è salito a 2,8 miliardi con un picco del 30% dal 2015.

Stime che come spiega Coldiretti, rimangono in difetto perché restano fuori i proventi derivanti da operazioni condotte “estero su estero” dalle organizzazioni criminali, gli investimenti effettuati in diverse parti del mondo, le attività speculative attraverso la creazione di fondi di investimento sulle piazze finanziarie di mezzo mondo, il trasferimento formalmente legale di fondi attraverso i money transfer in collaborazione con fiduciarie anonime e la cosiddetta banca di “tramitazione” che veicola il denaro verso la sua destinazione finale.

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Il giro di business della mafia

Dalle infiltrazioni nel settore ortofrutticolo del clan Piromalli all’olio extra vergine di oliva di Matteo Messina Denaro fino alle imposizioni della vendita di mozzarelle di bufala del figlio di Sandokan del clan dei Casalesi e al controllo del commercio della carne da parte della ‘ndrangheta e di quello ortofrutticolo della famiglia di Totò Riina, i più noti clan della criminalità si dividono il business della tavola mettendo le mani sui prodotti simbolo del made in Italy.

Questo il quadro dei crimini sull’agroalimentare sintetizzato dal rapporto. Durante la presentazione romana è stata imbandita la tavola delle cosche con i prodotti frutto dei business specifici dei diversi clan mafiosi, camorristici e ‘ndranghetisti.

“Solo nell’ultimo anno le forze dell’ordine hanno messo a segno diverse operazioni contro le attività della malavita organizzata, con arresti, sequestri e confische contro personaggi di primissimo piano della mafia che hanno deciso di investire ed di vasti comparti dell’agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l’imprenditoria onesta”, dice la Coldiretti.

Il risultato? Prezzi moltiplicati, ma anche gravi danni d’immagine al made in Italy, senza contare i rischi per la salute.

“Nel febbraio scorso i Carabinieri del Ros – rileva Coldiretti – hanno smascherato le attività criminali in Calabria della cosca di ‘ndrangheta Piromalli che controllava la produzione e le esportazioni di arance, mandarini e limoni verso gli Stati Uniti, oltre a quelle di olio attraverso una rete di società e cooperative. Nello stesso mese ancora gli uomini dell’Arma hanno confiscato 4 società siciliane operanti nel settore dell’olivicoltura riconducibili a Matteo Messina Denaro e alla famiglia mafiosa di Campobello”.

Non resta immune neanche il campo della ristorazione.

“Tra tutti i settori “agromafiosi” quello della ristorazione è forse il comparto più tradizionale e immediatamente percepito come tipico del fenomeno. In alcuni casi sono le stesse mafie a possedere addirittura franchising e dunque catene di ristoranti in varie città d’Italia e anche all’estero, forti dei capitali assicurati dai traffici illeciti collaterali”, spiega Coldiretti.

Il business dei profitti criminali reinvestiti nella ristorazione coinvolgerebbe oltre 5mila locali, con una più capillare presenza a Roma, Milano e nelle grandi città. Attività “pulite” che si affiancano a quelle “sporche”, avvalendosi degli introiti delle seconde, assicurandosi così la possibilità di sopravvivere anche agli incerti andamenti del mercato e alle congiunture economiche sfavorevoli.

“Le agromafie vanno contrastate nei terreni agricoli, nelle segrete stanze in cui si determinano in prezzi, nell’opacità della burocrazia, nella fase della distribuzione di prodotti che percorrono centinaia e migliaia di chilometri prima di giungere al consumatore finale, ma soprattutto con la trasparenza e l’informazione dei cittadini che devono poter conoscere la storia del prodotto che arriva nel piatto”, ha affermato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.

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Il caporalato nel piatto

· Il concentrato di pomodoro dalla Cina dove è stato denunciato il lavoro forzato dei detenuti
· il riso basmati dal Vietnam dove sono stati segnalati lavoro minorile e sfruttamento
· le nocciole dalla Turchia sotto accusa per lo sfruttamento delle minoranze (Curdi)
· le rose dal Kenya per il lavoro sottopagato e senza diritti
· le fragole dall’Egitto dove è a rischio la salute sul lavoro per l’uso di prodotti chimici fuorilegge in Europa
· i fiori dalla Colombia dove è stato denunciato lo sfruttamento del lavoro femminile
· la canna da zucchero dalla Bolivia dove si segnala l’abuso di stimolanti per aumentare la resistenza al lavoro
· la carne dal Brasile dove sono stati denunciati lavoro minorile e sfruttamento
· l’aglio dall’Argentina dove sono stati segnalati lavoro minorile e sfruttamento
· le banane dall’Ecuador dove vengono effettuati, con mezzi aerei, trattamenti a base di prodotti chimici fuorilegge in Europa

Dominella Trunfio

Foto: Coldiretti

Source: greenme.it

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