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La rivoluzione porterà (anche) il rossetto

Se penso a mia nonna la prima cosa che mi viene in mente è il rossetto. La seconda è lo specchietto che teneva nella tasca interna della borsa per controllare che le sue labbra fossero abbastanza rosse per andare in giro. Lo sappiamo, le nonne sono delle figure mitologiche: metà donne e metà eroine con dei super poteri che le hanno rese capaci di passare attraverso cose che a noi ci avrebbero ammazzato dopo 30 secondi. E lo stesso vale per mia nonna: nell’ordine è sopravvissuta a due guerre mondiali con i rispettivi strascichi, la morte di 7 fratelli (su 11), la morte del marito e di una figlia, la crescita, da sola, degli altri due figli. E tutto con fermezza, sorriso e rossetto. Ecco perché, quindi, da piccola pensavo che il rossetto fosse una specie di burrocacao magico, in grado di diffondere una forza straordinaria a chi lo indossa. Ed ecco perché, ora che sono cresciuta, pur non amando il trucco, uso il rossetto: perché mi fa sentire forte, sicura di me, a mio agio, ma anche di buon umore.

Grazie alle icone che l’hanno indossato, da Marylin Monroe a Audrey Hepburn, il rossetto è diventato presto emblema di un messaggio ben preciso, quello della femme fatale, della donna predatrice, dell’amante che ti sconvolge la vita, lasciando un segno indelebile. Un’altra visione stereotipata della donna, insomma, tanto in voga negli anni ’60 e ’70 e per questo non particolarmente apprezzata dalle femministe della seconda ondata. Giusto? No, non proprio. Tanto per iniziare perché, tra le femministe della seconda ondata, ce ne erano molte che invece il rossetto lo portavano apposta, e poi perché, ben prima degli anni ’60, agli inizi del ‘900, l’utilizzo diffuso del rossetto era stato sdoganato proprio dalle suffragette. Elizabeth Arden, imprenditrice di successo, aveva infatti capito che, per sradicare il pregiudizio su un cosmetico solitamente associato alle prostitute, avrebbe dovuto proporne un’immagine completamente nuova. Così, nel 1912, durante una marcia femminista, decide di distribuirlo a 15.000 suffragette, che lo indossano per affermare la loro libertà.

Oggi – a più di 40 anni da quel femminismo che chiedeva il riconoscimento di diritti assolutamente fondamentali, dandoci però l’impressione che una certa negazione della femminilità fosse l’unico modo per ottenerlo – ci ritroviamo, per certi versi, in una situazione simile, ma con una consapevolezza diversa. Grazie alle battaglie che ci hanno preceduto sappiamo di poter essere quello che vogliamo e non abbiamo intenzione di permettere a nessuno che questo nostro diritto venga calpestato. Non siamo una generazione politicizzata, ma grazie alla politicizzazione delle donne del passato, sappiamo cosa vogliamo, cosa ci meritiamo e quanto siamo disposte a faticare per ottenerlo.

La buona notizia, scrive Lena Dunham in un bell’articolo sul tema, pubblicato da Vogue di recente è che:

la convinzione, tipica della seconda ondata, secondo cui si poteva agire solo negando la propria femminilità (vedi le numerose immagini che abbiamo di magliette oversize, pantaloni di velluto a coste, ciglia rigorosamente senza mascara) è stata sostituita da quella secondo cui tutto va bene, da un’idea onnicomprensiva di femminilità, che comprende anche il trucco, come piacere fine a se stesso, come un momento privato di gioia, che può accomunare tutte, anche le attiviste. La rivoluzione porterà il rossetto.

Sembra un argomento da poco, ma non lo è, perché ha a che vedere con un importante passo in avanti che abbiamo compiuto. Il femminismo, inteso come la necessità che uomini e donne vengano trattati ugualmente, sia da un punto di vista giuridico che da un punto di vista umano, si è spogliato della sua istanza politica, ha oltrepassato qualsiasi tipo di barriera, diventando mainstream. Il risultato di questo processo è che si è dovuto rendere molto più duttile e sfaccettato; oggi ha un sacco di forme, colori e sfumature diverse, proprio come il rossetto. E il rossetto ne è quasi diventato un nuovo simbolo, riacquistando quel messaggio di forza, libertà e determinazione che Elizabeth Arden gli aveva dato agli inizi del ‘900.

Forza, seduzione e libertà sono le tre caratteristiche che la cultura pop contemporanea ha attribuito al rossetto e su cui, anche le grandi case di produzione, stanno costruendo le loro campagne pubblicitarie. Del resto ne avevamo anche già parlato, e in più di un’occasione: si chiama femvertising ed è quella forma di advertising che ha capito che per vendere un prodotto alle donne bisogna parlar loro di women empowerment, genere gap, ma soprattutto lasciarle essere ciò che vogliono, senza imporre dei canoni. La novità è che ora anche i marchi di abbigliamento stanno puntando molto sui rossetti.

Come osserva Lena Dunham, sempre per lo stesso processo, a Marylin Monroe oggi si sostituisce l’immagine di donne come Sarah Sophie Flicker, artista e attivista, a capo dell’organizzazione della Women’s March di Washington, per la quale il rossetto è un’arma fondamentale contro i pregiudizi.

Janet Mock, scrittrice, giornalista e attivista tansgender, ogni volta che deve tenere un discorso in pubblico indossa il rossetto per mettere in risalto le sue parole. Symone Sanders, addetta stampa di Bernie Sanders, in qualità di donna nera, con i capelli cortissimi e con un ruolo pubblico, utilizza il rossetto per mettere in risalto il valore della diversità. Huma Abedin, vicepresidente della campagna elettorale del 2016 di Hillary Clinton, indossa sempre e rigorosamente il rossetto. E che dire di Chimamanda Ngozi Adichie, protagonista indiscussa della rinascita del “femminismo mediatico” o di Beyoncé?

Guardare i volti di queste donne, che stanno portando avanti la loro battaglia, mi fa ripensare a mia nonna, alla sua di battaglia, e al valore che aveva per lei mettersi il rossetto. Nessun altro trucco, solo quello. E forse la storia che mi raccontavo da piccola, quella dei poteri magici del rossetto, è solo una mia fantasia, ma non importa. Quello che importa è che oggi ognuna di noi può decidere di parlare dei suoi diritti indossando o non indossando il rossetto, perché, per fortuna non c’è più bisogno di fare finta di non essere femminili per essere prese sul serio, ma soprattutto perché non esiste più un solo concetto di femminilità. C’è posto per tutti.

 

Source: freedamedia.it

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