Lo devo ammettere: stare su Instagram mi piace un sacco. Pure troppo, a dir la verità. Non solo perché sono una millennials – con i social ci sono cresciuta e mi sento a mio agio – ma anche perché, per una complessata come me, guardare le foto delle altre donne è come una droga. Sì, gente, non è un mistero che noi donne ci scrutiamo e giudichiamo a vicenda. È inevitabile, perché purtroppo la bellezza in questa società è ancora troppo importante per il nostro genere. E, se un tempo lo screening delle coetanee lo si faceva il sabato pomeriggio durante le “vasche” per il corso principale, adesso ce lo ritroviamo a portata di smartphone. Proprio a causa di questa formidabile accessibilità, sono abbastanza certa che il problema non sia più solo di noi ragazze complessate. Appartiene a tutti i generi e le età: sempre più persone nel mondo tengono gli occhi puntati su Instagram per riempirsi gli occhi di foto e storie altrui e per coltivare la propria auto-rappresentazione.
Fino a poco tempo fa io ero convinta che fosse un fenomeno completamente negativo. Avevo sì il profilo, ma con pochissime foto. Non ci sto, è solo narcisismo, dicevo. Nessuno è sempre felice, nessuno è sempre fotogenico. Tutta narrazione, dicevo. Chi passa tutto il giorno a farsi foto non vive la propria vita, non sta nel momento. Non c’è autenticità, dicevo. Non è possibile avere 1000 selfie, tutti con lo stesso sorriso! Sono tutti costruiti, dicevo. Dov’è il brutto, dov’è lo squallore, il fallimento, dov’è la verità?
Sono sicura che anche voi l’avrete pensata così almeno una volta.
Poi ho scoperto due cose che hanno ampliato e trasformato il mio punto di vista: un libro, intitolato L’arte fuori di sé – Un manifesto per l’età post-tecnologica; e il movimento della body positivity.
Nel libro, che è edito da Feltrinelli e parla di arte contemporanea, i due autori Andrea Balzola e Paolo Rosa affermano che, per via dello sviluppo tecnologico, gli artisti e i loro spettatori contemporanei sono chiamati insieme a: 1. Costruire un nuovo concetto di estetica; e 2. Sviluppare un approccio etico più responsabile.
È vero, affermano, il web è vasto e profondo e dentro di sé ha un sacco di bufale, truffe e altra spazzatura, e poi subisce le influenze del mercato e l’ingerenza dei media, però. C’è un grande però: è un mezzo popolare che dà spazio alle minoranze e consente “rivoluzioni politiche e ri-evoluzioni poetiche” una volta impossibili – la citazione è del mitico Jodorowsky. Una volta le rivoluzioni si potevano fare solo con la quantità: in quanti disgraziati siamo per andare a prenderci la Bastiglia di turno? Si chiedevano i rivoluzionari, coscienti che sarebbero stati schiacciati numericamente dai potenti. Ora invece c’è più spazio per vari livelli di qualità, e succede finalmente che anche le minoranze – che, in quanto tali, non avrebbero i numeri giusti – riescano a raccogliere abbastanza sostenitori da portare la propria causa nel dibattito pubblico.
Su Instagram tutto ciò in un certo senso succede già. Quasi ci fosse una specie di ritorno al tempo della prima performing art, in cui artiste esponevano il proprio corpo senza riserve e ne facevano un’opera d’arte per rompere le convenzioni che lo imprigionavano. C’era chi lo fotografava, chi lo dipingeva, chi addirittura come Gina Pane lo sfregiava. I meravigliosi corpi di quelle artiste non potevano proprio essere valutati secondo i canoni del modello estetico dominante. Erano corpi liberi, messaggeri di un concetto più grande. Come accade nel movimento della body positivity.
È giusto accettare e apprezzare tutte le fisicità. Ognuno di noi ha diritto a una body-image positiva, cioè a un’immagine corporea più autentica possibile, che ci faccia sentire a posto, liberi e in pace con noi stessi, senza subire la pressione psicologica di doverci adeguare a uno standard di bellezza – o di magrezza, età, ricchezza. Considerando quante delle mie amiche e compagne di scuola ho visto rischiare il ricovero o peggio per anoressia e bulimia, mi viene da dire che era proprio ora. E non si tratta mica solo di capire che anche le modelle curvy sono belle, benché il movimento nasca proprio dal fat activism – a questo proposito, ci tengo a ricordare che ogni concetto preso come dogma è deleterio, e che dire che è ok essere sovrappeso non vuol dire legittimare l’obesità: “l’accettazione di se stessi e il desiderio di cambiare se stessi dovrebbero poter coesistere pacificamente in noi”, come spiega con la sua esperienza Kelly deVos in questo articolo sul New York Times. Si tratta di accettare e imparare ad amare davvero il proprio corpo e quello degli altri per quello che è. Non è detto che questa accettazione debba passare attraverso la condivisione di una foto o di un’esperienza con l’hashtag #bopo, anzi: è auspicabile che avvenga in profondità, prima che all’esterno.
Ma più l’estetica dell’accettazione si diffonde, più la pressione sociale sugli utenti si allenta, più le convenzioni crollano e i canoni estetici si allargano, si trasformano, evolvono. Instagram sta in parte contribuendo a ridefinire il concetto di bellezza, non truccandola con filtri ed effetti, ma dando voce a modelli, artisti e attivisti che si fanno promotori di nuovi criteri.
Come nel caso di Lena Dunham (@lenadunham) di cui si è parlato a luglio. Per rispondere agli shamers, l’attrice, scrittrice e regista statunitense ha condiviso sul suo profilo alcuni post rivelatori sulla sua trasformazione fisica – a mio parere, non così drastica: in uno di questi post, accostava una sua foto del passato a una del presente, raccontando di quanto fosse infelice e malata quando era magra e tentava con tutti gli espedienti a sua disposizione di rientrare negli standard estetici del mondo dello spettacolo, e di quanto sia felice ora della propria vita e del proprio corpo, anche se con un po’ di ciccia in più. Come nel caso di Mama Cāx (@mamacaxx), blogger e modella disabile, che si ritrae in tutta la sua bellezza con e senza la protesi alla gamba destra; di Cristina l’Estetista Cinica (@estetistacinica) che ha mostrato la sua cellulite e lanciato l’esilarante hashtag #kulolibero.
O nel caso delle decine e decine celebrità – tra le altre Amy Schumer, Zooey Deschanel, Demi Lovato, Drew Barrymore, Hilary Duff, Clio Make Up – che in questi mesi si sono mostrate senza filtri o hanno immortalato i loro difetti fisici con foto e dichiarazioni, per combattere il body shaming e ispirare i propri fan. Oggi, su Instagram l’hashtag #bodypositive tagga 6,5 milioni di post.
È vero, il corpo delle donne è ancora oggetto di discussione non neutrale, ma un piccolo passo avanti è stato fatto: a me basta ripensare agli anni Novanta per tirare un sospiro di sollievo. È innegabile che le aziende e i media cavalchino alcuni fenomeni per poter influenzare e disciplinare la nostra bellezza con nuove categorie e stereotipi, cioè per poter fare di noi buoni consumatori: ma sarebbe ingenuo pensare che ciò non avvenga in tutti gli ambiti e a tutti i livelli – questo è il sistema, questo è il mercato. Però, se si lavora sul serio sul proprio mondo interiore, è possibile diminuire l’ossessione narcisistica, padroneggiare la cura del proprio aspetto fisico e renderlo qualcosa di leggero, inutile – in senso buono -, divertente. Raggiungendo questa dimensione “illuminata”, in cui l’apparenza e la sostanza sono ugualmente importanti, è lecito usare anche l’estetica per sviluppare la propria personalità e il proprio potere personale, e consolidare così un rapporto più sano con la propria immagine. È questo, secondo me, che la condivisione su Instagram può incoraggiarci e aiutarci a fare.
Quelle più cerebrali di noi pensano sotto sotto che in qualche modo “la bellezza renda stupide”, perché le donne belle hanno la vita facile, ottengono più facilmente considerazione, hanno un valore riconosciuto dalla società – perché la bellezza è ancora uno dei migliori strumenti di persuasione. Pensano segretamente di dover restare brutte e modeste per farsi prendere sul serio dagli uomini, per non fare da sponda al maschilismo, per non farsi attribuire atteggiamenti seduttivi e incappare in situazioni spiacevoli. Ma non è così: se si vuole si può essere intelligenti e insieme belle, forti e fiere di ciò che si è, e lo si può essere con uno stile speciale, personale e inimitabile – per quello che l’industria della moda e la globalizzazione ci consentono. Si può essere affascinanti senza essere alla moda, si può essere belle senza essere svestite, si può essere sane senza avere il corpo scolpito.
La bellezza si può riconoscere in tutti perché è quell’armonia che traspare, quella luce che emana chi si conosce, si ama, chi crede in sé. Perciò un sacco di modelle e di donne che la società osanna come bellissime hanno un’immagine fredda, malata, finta: il perfezionismo e il fanatismo ci rendono falsi e infelici.
Forse è finita l’era della bellezza depressa e sofferente, l’era della bellezza ideale. Largo alle bellezze reali, che come la realtà sono anche irregolari, imprevedibili, irripetibili! Il mio insegnante di trucco teatrale, il famoso Alessandro Bertolazzi, ci ricordava continuamente che è l’asimmetria, il difetto ad attirare l’attenzione dell’occhio umano. Largo ai difetti, alla meravigliosa realtà dei nostri corpi! Purché sia frutto della cura di sé. Tutti gli esseri umani consapevoli e contenti di loro stessi sono belli. Lo sono davvero, senza filtri.
Source: freedamedia.it
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