Non ho mai ascoltato molti uomini o band maschili, eppure negli ultimi tempi è cambiato qualcosa. Mi sono accorto che molti dei cantautori della nuova ondata indie-pop che si è sviluppata di recente – nella cosiddetta scena romana, ma non solo – hanno sorprendentemente catturano la mia attenzione. Ho iniziato a pensare che forse Tommaso Paradiso dei Thegiornalisti, Calcutta, Cosmo, Coez, Niccolò Contessa de I Cani, e prima di loro Vasco Brondi de Le luci della centrale elettrica, hanno qualcosa in comune. Oltre a tutti gli aspetti stilistici e di linguaggio, su cui certo molte cose possono essere dette, ho iniziato a pensare che la mia simpatia nascesse anche dal fatto che tutti rappresentano un tipo di identità maschile diversa dal solito. Più emotiva, meno sicura di sé e perlopiù malinconica.
La lampadina mi si è accesa una sera quando Tommaso Paradiso, ospite da qualche parte in tv, ha parlato del debito che, a suo parere, lui e altri hanno nei confronti di Luca Carboni: il cantautore bolognese, negli anni ’80 e ’90, è stato un po’ un teen idol con le sue canzoni apparentemente facili facili, che univano a melodie estremamente orecchiabili un linguaggio diretto, ma allo stesso tempo struggente.
Carboni era ironico, ma mai cinico, spesso ironizzava sulla sua inadeguatezza, sul suo non avere il “fisico bestiale”, sul far parte della schiera delle Persone silenziose, sul suo amore per la solitudine. È sempre stato un po’ l’emblema del perdente che diventa in qualche modo vincente non cercando di adeguarsi a dei canoni imposti, ma rivendicando il suo punto di vista da outsider e sprofondando nella sua identità apparentemente da “debole”.
Questi nuovi cantautori della scena indie-pop italiana nei loro testi si dicono tutti un po’ intimiditi dalle relazioni, impacciati, pieni di titubanze. E forse in questa storia c’entra anche l’elemento generazionale. Sono tutti giovani ma non più giovanissimi: hanno tutti 30 anni o più. Hanno raggiunto il successo tardi e sembrano incarnare un po’ anche lo spirito dei millennial più in là con l’età, quelli che hanno iniziato a fare i conti con la disillusione vera. Raccontano il mondo dal punto di vista di chi si è trovato immerso in una realtà destruttura e con ben pochi appigli oltre a quelli dell’iper-comunicazione e delle emozioni.
Li accomuna una certa ostentazione dei deficit, delle mancanze e un gusto per il naïf, lo scazzo, le piccole cose, l’ambiente domestico. Calcutta una volta l’ha detto chiaro e tondo: “Preferisco parlare del particolare più che dell’universale”. Sono tutti un po’ goffi, mezzi in pigiama, tipi da pasta riscaldata del giorno prima e Netflix, o quando cercano di fare i fighi – tipo Tommaso Paradiso – irrimediabilmente si portano dietro qualcosa di buffo, tenero. Come dei bambini che giocano a credersela.
Tanto già lo so che non cambierà un cazzo
Io per te non esisto.
Ed è inutile che mi asciughi
le lacrime quando piango
Ed è inutile che mi abbracci
solo per restarmi accanto
Tanto io per te
io non esisto
Thegiornalisti – Io non esisto
Maschi non machi, con l’occhio annacquato e i capelli sempre freschi di cuscino: che lo siano davvero o calchino la mano recitando un ruolo, a me sembra comunque interessante questo trend degli anti maschio alfa: se non proprio degli omega, decisamente sono almeno dei beta. Parlano d’amore con un registro post-adolescenziale, raccontano della loro vita ammaccata che, se arriva a combinare qualcosa, lo fa quasi fuori tempo massimo e con uno slancio che ormai è quello che è. Non si fanno problemi a mostrarsi teneri e a raccontare disagi, fallimenti, autosabotaggi, e in questo secondo me hanno intercettato qualcosa dello spirito del nostro tempo.
Di fatto sono dei malati di romanticismo, anche un po’ tendenti al masochismo, e fanno dell’insicurezza e dell’autoironia delle bandiere.
Uè deficiente
Negli occhi ho una botte che perde
E lo sai perché
Perché mi sono innamorato
Mi ero addormentato di te
E adesso che mi lasci solo
Con le cose fuori al posto loro
Calcutta – Pesto
Non c’è politica, impegno nei loro testi. Questo celebrare, spesso in modo sarcastico, la dimensione intimista, fatta di piccole ossessioni e dettagli allo stesso tempo importantissimi e insignificanti, è forse quello che li rende più vicini alle autrici e cantautrici che ho sempre letto e ascoltato. Si può dire che hanno qualcosa di “femminile”? Forse è meglio dire che si prendono delle licenze rispetto a quello hanno cercato di farci credere che dovrebbe essere l’uomo etero. Da questo punto di vista sono anche un po’ all’opposto rispetto ai rapper e nuovi idoli della scena trap: la loro mascolinità è “in minore”, indolente, pigra, ma anche, all’occorrenza, furba e sorniona. Insomma credo che tutta questa nuova musica riveli qualcosa anche del gioco delle parti tra i generi e i sessi, una specie di rivincita del maschio sensibile che può piangere e fallire, senza per questo essere meno attraente.
Un po’ di esempi formato playlist per farsi un’idea:
Source: freedamedia.it
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