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La lunga marcia delle donne verso l’uguaglianza

Otto marzo, “festa della donna”. Per l’Italia una giornata particolare: settant’anni fa l’approvazione dell’articolo 3 della Costituzione della Repubblica italiana che sarebbe entrata in vigore il 1 gennaio del 1948. Ed è proprio in questa ricorrenza che il Senato ha messo a punto un dossier che “in assenza, finora, di studi e valutazioni scientifiche sull’impatto delle politiche di genere”, ripercorre le principali tappe legislative della lunga marcia delle donne verso l’uguaglianza”.


“Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, razza, lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali. è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il completo sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese”

(Articolo 3 della Costituzione)


Da questo articolo parte il dossier dell’Ufficio Studi, curato della dottoressa Carmen Andreuccioli, e pubblicato sul sito di Palazzo Madama. Ricordare questa pietra miliare in occasione della Giornata internazionale della donna, viene spiegato, “ha un particolare significato. Le statistiche pubblicate nel Rapporto annuale del World Economic Forum (WEF) sulla situazione nel 2016 del gender gap nel mondo (o meglio, nei 142 Stati esaminati), mostrano come il nostro Paese si collochi solo al 50esimo posto della classifica generale, con – peraltro – un peggioramento di nove posizioni rispetto allo scorso anno. Particolarmente allarmanti sono la collocazione alla 117esima posizione nella classifica parziale relativa alla partecipazione economica e alle opportunità, e quella al 56esimo posto nella parità nel campo dell’istruzione”, ricorda la ‘nota breve’.

Le principali tappe dei 70 anni in cui le donne hanno cambiato il Paese

  1. MADRI AL LAVORO – La prima legge della Repubblica a tutela delle donne è del 1950. Con la legge 26 agosto 1950 ‘Tutela fisica ed economica delle lavoratrici madri’ “vengono introdotte importanti misure – ancora oggi in larga parte valide – a tutela della maternità delle donne lavoratrici. Tra queste: il divieto di licenziamento dall’inizio della gestazione fino al compimento del primo anno di età del bambino; il divieto di adibire le donne incinte al trasporto e al sollevamento di pesi ed altri lavori pericolosi, faticosi o insalubri; il divieto di adibire al lavoro le donne nei tre mesi precedenti il parto e nelle otto settimane successive salvo possibili estensioni”. Tuttavia, sottolinea lo studio, “non solo le casalinghe, ma anche le donne lavoratrici agricole restavano fuori dall’ambito di applicazione della legge”, che “non assicurava una piena protezione contro le cosiddette ‘clausole di nubilatò” che, se nel contratto, “potevano portare le donne, non appena si sposavano, a perdere la propria occupazione”. “Ci sarebbero però voluti altri 13 anni perchè il Parlamento approvasse, in sede deliberante” la legge 9 gennaio 1963, n. 7 , “che, oltre a vietare qualsiasi genere di licenziamento in conseguenza del matrimonio, prevedeva alcune misure a sostegno della maternità delle lavoratrici agricole”, viene notato.
  2. IL VALORE SOCIALE DELLE CASALINGHE – “Con la legge 5 marzo 1963, n. 389, il Parlamento italiano compiva un altro passo importante: l’istituzione presso l’Inps della gestione separata ‘mutualità pensionì per l’assicurazione volontaria delle pensioni delle casalinghe. Era una tappa fondamentale verso il riconoscimento della dignità del lavoro domestico e del ruolo della donna di casa”. Tuttavia “per un pieno riconoscimento del valore sociale del lavoro domestico svolto per la cura del nucleo familiare si dovrà però attendere la legge 8 dicembre 1999, n. 493, con cui veniva istituita l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni domestici. Dal marzo 2001 è così obbligatoria”.
  3. MAMME AGRICOLE ARTIGIANE E COMMERCIANTI – “Un’ulteriore estensione della tutela delle lavoratrici madri è stata prevista dalla legge 30 dicembre 1971” “La nuova legge, infatti, oltre ad assicurare un’efficace protezione per le gestanti – divieto di licenziamento dall’inizio della gravidanza fino al compimento di un anno di età del bambino – introduceva l’astensione facoltativa dal lavoro per sei mesi, oltre ai tre mesi obbligatori dopo il parto. Inoltre rafforzava le misure a tutela delle lavoratrici agricole (alle quali non veniva più corrisposto un assegno una tantum ma l’80 per cento della retribuzione) e alle lavoratrici autonome, come le coltivatrici dirette, le artigiane e le commercianti (alle quali era riconosciuta un’indennità di 50 mila lire)”, si sottolinea nel dossier.
  4. CONCILIARE VITA E LAVORO, L’ACCUDIMENTO DEI FIGLI DIRITTO/ DOVERE ANCHE DEI PADRI – In questo contesto si inseriscono “prima la legge 23 dicembre 1998, n. 448 (Misure di finanza pubblica per la stabilizzazione e lo sviluppo), che agli articoli 65 e 66 introduceva l’assegno ai nuclei familiari con almeno tre figli e l’ assegno di maternità, e poi la legge 8 marzo 2000, n. 53, recante disposizioni per il sostegno della maternità e paternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordina-mento dei tempi delle città”. In questa direzione anche le successive leggi che introducono il voucher babysitting, il part time ecc, prosegue lo studio fino ad arriovare alle ultime norme approvate.
  5. DAL DIVIETO DI ACCESSO AL DIVIETO DI DISCRIMINARE – “è solo nel 1956 che il Parlamento ha cominciato ad abrogare i limiti di accesso per le donne a determinate carriere”. è infatti “solo con la legge 27 dicembre 1956, n. 1441 che anche alle donne è stato consentito accedere alla magistratura, sia pure limitatamente alle funzioni di giudici popolari (ordinari o supplenti) e di componenti dei Tribunali dei minorenni”.Per “avere il pieno diritto ad accedere a tutte le cariche, professioni ed impieghi pubblici, compresa la magistratura, nei vari ruoli, carriere e categorie senza limitazioni di mansioni e di svolgimento della carriera, salvi i requisiti stabiliti dalla legge, le italiane dovranno attendere la legge 9 febbraio 1963, n. 66”.
  6. DONNE IN ARMI – l’inserimento delle donne è stato un processo lento e graduale”. La legge 7 dicembre 1959, n. 1083 “ha consentito l’accesso in Polizia, ma nel solo ‘corpo femminilè e con funzioni ben circoscritte, come la prevenzione e l’accertamento dei reati contro la moralità pubblica e il buon costume, la famiglia, la tutela del lavoro delle donne e dei minori”. Ed “è stato necessario attendere oltre un ventennio affinchè alle donne poliziotto fosse riconosciuta pari dignità rispetto ai colleghi uomini”. “L’ultimo baluardo al riconoscimento di una piena parità di accesso alle varie carriere professionali è rimasto, per quasi altri 20 anni, il divieto per le donne di svolgere il servizio militare. Per compiere questo passo avanti si è dovuto attendere la legge 20 ottobre 1999, n. 380, che ha dato la delega al Governo a disciplinare il reclutamento, lo stato giuridico e l’avanzamento del personale militare femminile nelle Forze armate e nella Guardia di Finanza”, si sottolinea
  7. VIETATO DISCRIMINARE – “Il primo intervento legislativo degno di nota” è rappresentato “dalla legge 9 dicembre 1977, n. 903, frutto dell’iniziativa del ministro del Lavoro Tina Anselmi (DC): sanciva il divieto di discrimi-nazione nell’accesso al lavoro, nella formazione professionale, nelle retribuzioni e nell’attribuzione di qualifiche professionali”, ricorda il dossier che ripercorre le successive tappe.
  8. QUOTE ROSA – “la legge 12 luglio 2011, n. 120 ha dovuto intervenire per imporre l’obbligo delle cosiddette quote rosa nei consigli di amministrazione” visto che “in Italia, la presenza femminile negli organi di amministrazione e di controllo delle società quotate in mercati regolamentati era ancora così scarsa”.
  9. DIMISSIONI IN BIANCO – “Contro questa pratica possiamo citare due importanti provvedimenti”: la legge 17 ottobre 2007, n. 188 (disposizioni in materia di modalità per la risoluzione del contratto di lavoro per dimissioni volontarie della lavoratrice, del lavoratore, nonchè del prestatore d’opera e della prestatrice d’opera) e il decreto legislativo 14 settembre 2015 n.151 (disposizioni di razionalizzazione e semplificazione delle procedure e degli adempimenti a carico di cittadini e imprese e altre disposizioni in materia di rapporto di lavoro e pari opportunità.
  10. IL CORPO, IL SESSO, LA VIOLENZA, LA FAMIGLIA – Il dossier ripercorre le leggi che dal 1947 ad oggi hanno contribuito a modificare il ruolo della donna nella famiglia e nella società, ricordando l’introduzione di norme considerate divisive come quelle relative alla procreazione responsabile, l’addio al delitto d’onore e al matrimonio riparatore (che è solo del 1981); la legge sullo stalking e le norme contro il femminicidio.
  11. POLITICA E PARI OPPORTUNITA’ – “E’è stato a partire dagli inizi degli anni Novanta che si è diffusa una maggiore consapevolezza”. In “questo contesto si inserisce la legge 25 marzo 1993, n. 81 che – disciplinando l’elezione diretta del sindaco, del presidente della provincia, del consiglio comunale e del consiglio provinciale – prevedeva una riserva di quote per l’uno e per l’altro sesso nelle liste dei candidati alle amministrative. Un ulteriore impulso è arrivato dalla legge costituzionale 30 maggio 2003, n. 1, che ha modificato l’art. 51 della Costituzione in materia di accesso agli uffici pubblici e alle cariche elettive sancendo espressamente la promozione, con appositi provvedimenti, delle pari opportunità tra donne e uomini. Ma è stato solo con il nuovo millennio che il legislatore si è impegnato per garantire una maggiore presenza femminile a tutti i livelli”, spiega il dossier che cita le più recenti leggi in materia elettorale e preferenza di genere.

Source: agi.it/politica

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