Operaia, modella, attrice, fotografa, attivista politica, antifascita, esule perseguitata: Tina Modotti ha vissuto molte vite in una sola. Donna affascinante e libera, ancora oggi è amata e ammirata – a livello internazionale –soprattutto per le sue fotografie e i suoi reportage dedicati agli ultimi e agli oppressi. Il suo desiderio è sempre stato quello di usare il mezzo fotografico per esprimere al meglio i suoi ideali sociali e politici ed è stata senza dubbio, da molti punti di vista, una pioniera: nei primi decenni del ‘900 è riuscita a ritagliarsi uno spazio – e un riconoscimento – all’interno di un ambiente fino a quel momento prettamente maschile.
Assunta Adelaide Luigia Modotti, detta Tina, nasce a Udine il 17 agosto 1896, da una famiglia operaia aderente al socialismo: la madre, Assunta Mondini, è cucitrice, il padre, Giuseppe Modotti, è meccanico e carpentiere. Tina ha solo due anni quando i suoi, per ragioni essenzialmente economiche, si trovano obbligati ad emigrare in Austria. Lì nascono gli altri suoi quattro fratelli: Valentina detta Gioconda, Jolanda Luisa, Pasquale Benvenuto ed Ernesto (che muore a soli tre anni di meningite). Nel 1905, ritornano a Udine, dove Tina frequenta la scuola, ma non a lungo. A 12 anni infatti inizia a lavorare come operaia in una fabbrica tessile alla periferia della città, per contribuire al mantenimento della sua numerosa famiglia. Deve farlo anche perché il padre nel frattempo è emigrato in America in cerca di lavoro. Lo zio paterno, Pietro Modotti, ha uno studio fotografico ed è lì che Tina inizia a familiarizzare con quella che diventerà la sua grande passione.
Nel 1913, a 16 anni, emigra negli Stati Uniti per raggiungere il padre a San Francisco. Lì trova lavoro in una fabbrica, ma inizia anche a recitare a teatro, nonché a posare come modella per pittori e fotografi. Nel 1918 comincia una relazione con l’artista Roubaix “Robo” de l’Abrie Richey e si trasferisce con lui a Los Angeles per iniziare a lavorare nel cinema. Il suo esordio cinematografico risale al 1920, con il film The Tiger’s Coat, il primo dei tre film da lei interpretati. Ma il modo in cui il suo personaggio viene lanciato sul mercato induce Tina a mettere fine velocemente alla sua breve avventura hollywoodiana.
Grazie al marito conosce il fotografo Edward Weston e, nel giro di un anno, Tina diventa la sua modella preferita, nonché la sua amante. Robo, scoperta l’infedeltà della moglie, scappa in Messico, seguito a breve da Tina che, però, arriva a Città del Messico troppo tardi: l’uomo è morto a causa del vaiolo. In Messico vi ritorna nel 1923, assieme a Weston ed uno dei suoi quattro figli, lasciandosi indietro il resto della sua famiglia.
A Città del Messico apre con Weston uno studio di ritratti fotografici: i due ricevono l’incarico di fotografare il Paese per illustrare il libro Idols Behind Altars della scrittrice Anita Brenner, che racconta la storia e l’arte contemporanea del Messico. Il suo rapporto con la fotografia si fa sempre più intenso: inizia a sviluppare il suo stile, utilizzando la fotografia come strumento di indagine e denuncia sociale, accumulando scatti nei quali è palese l’esaltazione dei simboli del lavoro, del popolo e del suo riscatto: mani di operai, manifestazioni politiche e sindacali, ritratti di proletari ecc.
Nei reportage – che qualcuno ha definito “fotografia di strada” – Tina Modotti non cerca mai effetti speciali: a suo avviso la fotografia lungi dall’essere “artistica”, deve denunciare senza trucchi la realtà nuda e cruda:
Desidero fotografare ciò che vedo, sinceramente, direttamente, senza trucchi, e penso che possa essere questo il mio contributo a un mondo migliore.
Viene scelta come fotografa ufficiale del movimento muralista messicano, immortalando i lavori di José Clemente Orozco e di Diego Rivera, e conosce molti personaggi politici del comunismo radicale, tra cui i tre funzionari del Partito comunista messicano – Xavier Guerrero, Julio Antonio Mella e Vittorio Vidali – con cui ha anche delle relazioni sentimentali. Diventa poi molto amica, e probabilmente anche amante, di Frida Kahlo.
Nel 1927 si iscrive al Partito e da quel momento il suo lavoro è sempre più impegnato e politicizzato. Pubblica su molti giornali di sinistra, compreso El Machete, l’organo ufficiale del PCM. Il momento più importante della sua carriera fotografica arriva nel 1929, con una importante retrospettiva al Museo nacional de arte di Città del Messico, presentata al pubblico come “la prima mostra fotografica rivoluzionaria in Messico”. Definendo precisamente il suo punto di vista Tina Modotti scrive:
Sempre, quando le parole “arte” o “artistico” vengono applicate al mio lavoro fotografico, io mi sento in disaccordo. Questo è dovuto sicuramente al cattivo uso e abuso che viene fatto di questi termini. Mi considero una fotografa, niente di più. Se le mie foto si differenziano da ciò che viene fatto di solito in questo campo, è precisamente perché io cerco di produrre non arte, ma oneste fotografie, senza distorsioni o manipolazioni. La maggior parte dei fotografi vanno ancora alla ricerca dell’effetto “artistico”, imitando altri mezzi di espressione grafica. Il risultato è un prodotto ibrido che non riesce a dare al loro lavoro le caratteristiche più valide che dovrebbe avere: la qualità fotografica.
Inizia ad essere tenuta sott’occhio dalla polizia segreta italiana e messicana e quando, nel 1929, viene organizzato un attentato contro il presidente messicano Pascual Ortiz Rubio (che fallisce), Tina viene subito interrogata dalla polizia. Si ritrova oggetto di una campagna mediatica anti-comunista e xenofoba che la dipinge come “fiera e sanguinaria”. Nonostante la sua innocenza, nel 1930 viene espulsa dal Messico e imbarcata su una nave diretta a Rotterdam. A parte poche eccezioni, negli ultimi dodici anni della sua vita non scatta più fotografie.
Viaggia in giro per l’Europa per poi stabilirsi a Mosca, dove si unisce alla polizia segreta sovietica, che la utilizza per varie missioni in Francia ed Europa orientale. Nel 1936 va a combattere insieme a Vittorio Vidali nella Guerra civile spagnola: resta lì fino al ’39, anno in cui ritorna in Messico sotto falso nome.
Muore il 5 gennaio del 1942, a 45 anni, per un infarto – anche se alcuni ritengono invece sia morta in circostanze sospette. Ad esempio Diego Rivera, che accusa Vidali di averla assassinata perché al corrente di crimini e esecuzioni che aveva ordinato durante la guerra civile. Molti amici di Tina respingono però le accuse: tra loro il poeta cileno Pablo Neruda che, indignato dalle polemiche, le dedica una poesia, poi parzialmente scolpita sulla sua tomba nel Panteón de Dolores a Città del Messico.
Tina Modotti, sorella, tu non dormi, no, non dormi:
forse il tuo cuore sente crescere la rosa
di ieri, l’ultima rosa di ieri, la nuova rosa.
Riposa dolcemente, sorella.
La nuova rosa è tua, la nuova terra è tua:
ti sei messa una nuova veste di semente profonda
e il tuo soave silenzio si colma di radici
Non dormirai invano, sorella.
Puro è il tuo dolce nome, pura la tua fragile vita:
di ape, ombra, fuoco, neve, silenzio, spuma,
d’acciaio, linea, polline, si è fatta la tua ferrea,
la tua delicata struttura.
Lo sciacallo sul gioiello del tuo corpo addormentato
ancora protende la penna e l’anima insanguinata
come se tu potessi, sorella, risollevarti
e sorridere sopra il fango.
Nella mia patria ti porto perché non ti tocchino,
nella mia patria di neve perché alla tua purezza
non arrivi l’assassino, né lo sciacallo, né il venduto:
laggiù starai tranquilla.
Non odi un passo, un passo pieno di passi, qualcosa
di grande dalla steppa, dal Don, dalle terre del freddo?
Non odi un passo fermo di soldato nella neve?
Sorella, sono i tuoi passi.
Verranno un giorno sulla tua piccola tomba
prima che le rose di ieri si disperdano,
verranno a vedere quelli d’una volta, domani,
là dove sta bruciando il tuo silenzio.
Un mondo marcia verso il luogo dove tu andavi, sorella.
Avanzano ogni giorni i canti della tua bocca
nella bocca del popolo glorioso che tu amavi.
Valoroso era il tuo cuore.
Nelle vecchie cucine della tua patria, nelle strade
polverose, qualcosa si mormora e passa,
qualcosa torna alla fiamma del tuo adorato popolo,
qualcosa si desta e canta.
Sono i tuoi, sorella: quelli che oggi pronunciano il tuo nome,
quelli che da tutte le parti, dall’acqua, dalla terra,
col tuo nome altri nomi tacciamo e diciamo.
Perché non muore il fuoco.
Dopo l’improvvisa scomparsa, il riconoscimento della personalità umana, artistica e politica di Tina Modotti è quasi immediato: per alcuni anni la sua vita e la sua opera restano vive nel ricordo di buona parte dell’America latina. Poi l’oblio, lungo almeno trent’anni, dovuto a una serie di fattori, tra cui il provincialismo ma anche il moralismo contrario alla valorizzazione di una donna laica e completamente libera.
L’opera di Tina – che si trova in buona parte negli Stati Uniti – viene tenuta a lungo nascosta nei cassetti dei dipartimenti di fotografia a causa della nefasta influenza del maccartismo, il quale per molti anni rende impossibile, e non solo negli Usa, lo studio e la divulgazione di un’artista che aveva militato nel movimento comunista internazionale.
Per molto tempo Tina Modotti è stata trascurata dagli storici della fotografia e dalla storiografia politica: per fortuna ora le cose sono, almeno in parte, cambiate.
Source: freedamedia.it