La felicità e il bisogno di avere
Una delle motivazioni più frequenti è quella che risponde al “bisogno di avere”. Il bisogno di cui parlavamo prima e che si trasmette ai figli tramite l’eco prodotto dal messaggio che rimbalza contro la società. Una società che ammette la fuga in avanti, quella che stimola il consumo come una soluzione perfettamente valida per mantenere stabile o aumentare la qualità della propria vita.
Di conseguenza, in poco tempo ogni modello viene rinnovato e quello precedente diviene obsoleto, smettendo di passeggiare per strada e iniziando a vedere volti dalla vetrina dei musei, gli stessi che permettono di testimoniare proprio l’esistenza di tale movimento.
Il denaro sfrutta questo “voler avere” per prostituire. Prostituire dignità, corpi o motivazioni disinteressate. È così che i soldi acquisiscono un’attrazione che seduce molti, per la quale la maggior parte della gente vende parte della loro anima al diavolo.
Allora…i soldi si trasforma in carota. Forse andiamo dove va la gente, ma la gente va dove vanno i soldi. Vedere alcune persone realizzare una determinata attività è diventato una giustificazione valida per seguirli.
Questo pensavano molte delle persone coinvolte in casi di corruzione politica o sportiva (in questo caso i soldi vengono sostituiti dagli steroidi). Questo pensava anche gran parte della Germania nazista quando assecondava i capricci di un genocida. Se gli altri vi si dirigevano, la felicità doveva trovarsi proprio lì. Quindi, perché non seguirli?
La felicità e il piacere
Un altro motore, e allo stesso tempo fonte di insoddisfazione della felicità, e il piacere. Le soddisfazioni sensibili sono l’anestesia perfetta per abbassare lo sguardo. Ci fanno cambiare il verbo essere per il verbo stare, a priori molto più facile da coniugare e un pezzo che si incastra molto meglio con qualsiasi frase che alluda alla fugacità della vita. Così, il piacere seduce denudando la nostra fragilità: approfittane oggi perché forse non ci sarà un domani.
Chi potrebbe resistere a questo messaggio quando i telegiornali e i giornali mostrano molte più disgrazie che motivi di speranza, quando si parla di quello che ci preoccupa e non di quello che ci tranquillizza. Così, in qualche modo, accettiamo che la frequenza con cui riceviamo le notizie è la stessa con cui si verifica un evento, che lo spazio di questi eventi è una variabile che si associa perfettamente alla loro trascendenza.
È così che arriviamo al “potrei morire adesso e voglio vivere al massimo”. Tuttavia, questo messaggio viene interpretato in modo erroneo adottando l’atteggiamento della formica, con la prospettiva di accumulare perché “non si sa mai”. In questo modo, fanno la loro comparsa la nevrosi e il comportamento anarchico che finiscono per alterare la persona che, in questo impegno da seguire, dimentica l’essere e l’emozionale, non sapendo se optare per la responsabilità o il piacere.
E anche vero che questa prospettiva ci dà motivi per andare avanti quando le cose si complicano e che poco o nulla ha a che vedere con i soldi, bensì con il valore che riteniamo di possedere. Ricordiamo l’importanza di ciò alludendo alla famosa opera di Viktor Frankl nella quale descriveva come questo senso, indipendentemente dall’essere veritiero o meno, abbia permesso a molte persone di sopravvivere nei campi di concentramento, in condizioni dinanzi alle quali, altrimenti, si sarebbero arrese.
La felicità come virtù
Un’interpretazione più interessante della felicità è quella che riguarda la virtù, quella che ci restituisce il ruolo da protagonisti della nostra storia e che rimuove gli obiettivi e i fini. Si tratta di attività che ci riguardano intimamente, come essere grati, perdonare o amare. Attività che ingraziano il passato, il presente e il futuro in uno stesso essere, il nostro. Attività che ci assicurano una corretta interpretazione della nostra storia, la possibilità di condividere nel presente e speranza per il futuro.
Lungo questo percorso esiste anche l’ansia di conoscere, di conoscere gli altri, sì, ma anche noi stessi. Una seconda conoscenza che non ha mai fine, come la prima, ma che dona calma e sicurezza. Procedendo in questo modo, compariranno molte domane e qualche risposta, in ogni caso la nostra ombra sarà costituita dalla felicità, quella che abbandona proprio chi subordina la voglia di avere o di godere al bisogno di essere. Coloro i quali intendono la felicità come un limite infinito.
Perché sì, la felicità è movimento e racchiude in sé una dimensione infinita, ma in nessun caso è un limite vitale né una camera asintotica nella quale si verifica qualsiasi tortura.